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sabato 21 febbraio 2015

Unità D'Intenti



Immagine tratta da www.twcenter.net
Giulio Cesare racconta che durante la guerra gallica, in cui egli stesso fu comandante supremo e di cui egli ne descrisse in modo sublime le fasi salienti nel “De bello gallico”, l’esercito romano perse tragicamente una legione. Già perdere delle coorti, che erano frazioni di una legione, era di per sé un fatto grave, figuriamoci cosa poteva rappresentare per un comandante perdere un’intera legione: un evento funesto. 
L’ottava legione, che si era formata da poco, fu  mandata a porre il campo invernale  presso il popolo gallico degli Eburoni il cui governatore si chiamava Ambiorige. Poiché questa legione era più numerosa delle altre (erano infatti state aggiunte delle coorti in più, quasi a formare due legioni), a capo di essa furono posti due generali: Quinto Tiburio Sabino e Lucio Aurunculeio Cotta (quest’ultimo lontano  parente  di Cesare). Ora un bel giorno Ambiorige, dopo aver fomentato una rivolta contro la presenza del campo romano sul suo territorio, chiese ai due comandanti un’udienza. L’udienza fu concessa ed egli, con fare ingannevole, fece credere ai messi inviati dai due generali, che tutta la Gallia si stava sollevando e che lui, per ricambiare i numerosi favori ottenuti in passato da Cesare, consigliava ai comandanti romani di abbandonare il campo e di raggiungere la legione romana più vicina alla loro, che si trovava a  circa cinquanta miglia e che era comandata da Quinto Cicerone, fratello minore del più noto Marco Tullio. Anzi, per fornire prova della sua amicizia con i romani, si offriva egli stesso con le sue truppe per scortare la legione fino ai confini della regione da lui controllata.
La sera stessa i comandanti discussero la proposta di Ambiorige e mentre Sabino credeva alle parole del governatore gallico e voleva abbandonare con l’intera legione il campo, Cotta, al contrario, non credeva all’Eburone e voleva rimanere asserragliato all’interno del campo, considerando che le provviste erano abbondanti e che i soldati romani erano maestri sia nel fare sia nel subire gli assedi. Si scatenò un violento alterco fra i due comandanti, ognuno sostenuto da una parte degli ufficiali e dei centurioni a loro più vicini, in cui volarono parole pesanti e si fu ad un passo che il tutto degenerasse in una zuffa. Dopo parecchie ore di discussione e a notte ormai inoltrata, Cotta cedette e si lasciò persuadere a adottare la linea di comportamento caldeggiata da Sabino. Al mattino seguente l’intera legione abbandonò il campo e si mise in marcia per raggiungere la legione di Cicerone. Caddero in una vile imboscata e furono trucidati quasi tutti, compresi i due generali romani. I pochissimi superstiti raccontarono poi a Cesare dell’accaduto ed egli ne rimase profondamente turbato.
Chi dei due, tra Sabino e Cotta sbagliò e chi era nel giusto? Meglio, quale delle due analisi adottare per affrontare al meglio le scelte strategiche? Tra Sabino e Cotta si può affermare: ciascuno aveva ragione e ciascuno aveva torto. La loro grave mancanza non consistette nella scelta effettuata, ma come la effettuarono: in apparente accordo, sostanzialmente in disaccordo. Gli ufficiali e la truppa uscirono già demoralizzati e disorientati dal comportamento tenuto dai loro comandanti e questo minò il loro spirito di abnegazione e la loro fiducia nella salvezza. Come insegnò poi Cesare in numerose altre battaglie da lui condotte, l’unità d’intenti e lo spirito di corpo è la prima regola per il mantenimento della fiducia e nella riuscita della vittoria. 
Morale: le scelte sono importanti, ma l'unità d'intenti spesso ne determina gli esiti.

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