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lunedì 11 novembre 2013

Dura Lex, Sed Lex


Nel trattatarello "De Amicizia" (Laelius) Cicerone racconta di un ipotetico dialogo tra Gaio Lelio e i suoi due generi ed ha come argomento la profonda amicizia che lo legava a Scipione Emiliano, il distruttore di Cartagine nel 146 a.c.. Cicerone dedica il dialogo al suo intimo e fidato amico Tito Pomponio Attico. Egli discerne sul valore dell'amicizia intesa come rapporto all'interno della società romana della sua epoca (44/43 a.c.), contrapponendo l'idea di amicizia intesa come legame utilitaristico propugnato dalla filosofia epicurea al significato di amicizia inteso nella sua società contemporanea. Il travisamento attuato nei confronti del significato del sentimento di amicizia nella filosofia epicurea secondo la quale, a dire di Cicerone, l'unico interesse che lega le persone è di tipo utilitaristico e non etico-morale, nasconde in realtà una visione della società romana nella cui interpretazione Cicerone afferma il dovere di impegnarsi politicamente e di attuare una rete di relazioni di amicizia nelle quale si deve trovare, oltre ad un reciproco interesse di protezione e di mutua assistenza, anche il "piacere" di prodigarsi per il bene delle persone che hanno stretto questo legame. Rimane chiaro l'intento di criticare l'amicizia in senso epicureo in quanto essa prevede il completo distacco  e il totale disinteresse per la vita politica, in cui egli era molto impegnato, e l'inerzia totale delle divinità nelle umane azioni. La distorsione, messa in atto con evidente scopo politico, addita negli avversari politici, Giulio Cesare in testa come noto seguace di Epicuro, di cercare legami di amicizia unicamente a scopo di tornaconto personale, abbandonando chiunque al suo destino nel momento in cui tale tornaconto viene a mancare. Tutto questo, traslato nella nostra epoca moderna, sembrebbe di poca rilevanza se non addirittura privo di senso in quanto l'amicizia naturale, cioè senza alcun tornaconto personale, viene chiaramente distinta dal rapporto di conoscenza che sottende ad un chiaro scopo utilitaristico. Penso, ad esempio, ai dirigenti e ai militanti di uno stesso partito politico nel quale i rapporti di amicizia sono davvero rari e l'unico legame all'interno dell'istituzione partito è, o meglio dovrebbe essere, il raggiungimento di uno stesso obiettivo all'interno della società di appartenenza che condivide scelte di carattere economico, sociale, culturale ed educativo. Anche all'interno di luoghi in cui le persone si trovano a dover condividere e collaborare, loro malgrado, in uno spazio e con scopi ben precisi loro assegnati, come i legami dettati dal rapporto di lavoro, la vera e profonda amicizia è molto rara. Detto questo, si deve però porre l'accento su cosa sia veramente una "vera amicizia" ma, soprattutto, quali sono i comportamenti ed i limiti che dovrebbero essere posti a tale sentimento umano.

Per esempio, commettere una cosa ingiusta per aiutare un vero amico in un suo momento di difficoltà è lecito oppure no? In sintesi, l'amicizia vera e profonda che condivide anche ideali etici e morali, oltre che momenti di svago e piacere, deve ritenersi prioritaria rispetto a situazioni nelle quali tu dovresti comportarti male o, peggio, contro la legge per la sua difesa? Si può anteporre l'amicizia ai diritti-doveri di cittadino e della società in generale? Belle domande a cui si possono porre molti "distinguo" per i vari contesti in cui gli amici in oggetto si vengono a trovare. Nella nostra società moderna e secolarizzata purtroppo si assiste non solo a reati contro la legge al solo scopo di difendere un'amicizia (forse capibile ma non giustificabile), ma per difendere interessi comuni di varie corporazioni o ambienti economici attigui alle proprie attività e che coinvolgono familiari o amici. 
Morale? Rileggiamoci il dialogo platonico "Critone". Socrate è in galera condannato a morte e mancano pochi giorni perché la sentenza venga eseguita. L'intimo e fedelissimo amico Critone  espone a Socrate il suo piano di fuga: corrompere le guardie e scappare aiutato dagli amici in un altro paese in esilio volontario. Critone afferma che è una cosa giusta perché la condanna di  Socrate è ingiusta e la maggior parte dei cittadini approverebbe tale fuga e, forse, anche una parte dell'autorità ateniese. Risposta di Socrate: non se ne parla nemmeno di fuggire. Io, dice Socrate, ho passato la mia vita intera alla ricerca di un comportamento che sia rispettoso della società in cui vivo ed in cui io sono parte attiva e nella quale la legge rappresenta, giustamente o ingiustamente, un codice di comportamento che deve essere uguale per tutti. Il compito di ogni cittadino è di individuare le leggi ingiuste o inique e fare di tutto per cambiarle, ma mai in ogni caso di trasgredirle. Fuggire, denuncia Socrate, per compiacere all'amicizia sarebbe come rinnegare il codice di comportamento della società a cui appartengo e quindi di rinnegare anche la mia stessa vita e sarebbe più ingiusto della stessa ingiusta legge che mi condanna: Dura Lex, Sed Lex.

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