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lunedì 6 maggio 2013

Dell'Amicizia

"Per farlo bene bisogna farlo assieme". Adagio della mia vecchia nonna. E' il manifesto dell'amicizia. Il senso del nome di questo Blog, Lucrezio Epicuro, riassume la filosofia di fondo che io ho della vita. Il nostro modo di vivere in relazione con gli altri, in una struttura sociale organizzata, ci porta ad essere inclini ad una vita collettiva. Dal nucleo primordiale della famiglia, alle relazioni sociali affettive (amicizia), alle relazioni normali con soggetti diversi della componente sociale. La famiglia, è risaputo, non la si sceglie, gli amici invece sì. Questa differenza, tautologica e banale, ha però un'implicazione significativa nella vita di ognuno di noi. Le affinità elettive, nel bene o nel male, sono il prodotto indubbio di una serie di fattori come l'educazione, la tradizione, lo stato sociale, l'ambiente dove ognuno di noi cresce e poi vive. Dato però l'incipit del legame, il percorso dell'amicizia segue un suo sentiero autonomo. Spesso accade che proprio l'amicizia sia l'oggetto di un riscatto sociale come, viceversa, anche di una perdizione totale. Resta comunque il fatto che anche l'amicizia presta il fianco a molte critiche sul vero movente della sua natura. In pratica: esiste un'amicizia pura? Cioè non dettata da interessi materiali o da scopi comuni? L'analisi susseguente e le varie interpretazioni ci portrebbero troppo lontano, nei meandri profondi della filosofia e della psicanalisi con il rischio di uscirne con un nulla di fatto. Ho avuto occasione comunque di provare nella mia vita che le amicizie più consolidate (e forse anche le più profonde) sono quelle che si formano nell'infanzia e nella giovinezza. L'ambiente che ti circonda ti plasma e ti permea in una sorta di amalgama psicologico e sociale che ti porta a cercare e a trovare l'amicizia in modo naturale e, a volte ma non sempre,  senza mediazioni. La radicalità e la spontaneità di questi legami restano per tutta la vita. Ho avuto prova in diverse occasioni con persone a me vicine e più anziane di vedere le reazioni che provavano nel ritrovare gli amici di un tempo con cui avevano trascorso l'infanzia e la giovinezza. Il tempo sembrava fosse annullato e tra loro si raccontavano di episodi di vita vissuti assieme che sembravano accaduti il giorno prima quando invece erano passati moltissimi anni.
Mi sono sempre chiesto quale forza possedesse tale capacità di azzerare il tempo e di rinvigorire momenti che sembravano ormai perduti in un oblio di un passato ormai dimenticato. Finché un bel giorno mi accorsi anch'io quale incommensurabile valore avesse quella forma di amicizia. Difficile è descrivere una cosa che hai a portata di mano tutti i giorni e non sai di averla. Una relazione di amicizia consolidata da tantissimi anni che ha attraversato un'intera generazione di persone. Considera un alter ego opposto alla tua personalità con il quale ti confrontavi e spesso ti scontravi quasi ad ogni piè sospinto, quotidianamente. Con lavori completamente diversi, compagne di vita con caratteri  che nulla avevano in comune. Eppure con la necessità quasi genetica di trovarsi, di raccontarsi, di praticare sport assieme e magari di prendersi malignamente in giro calcando sui reciproci difetti ed annullando le reciproche virtù. Una simbiosi ed integrazione empatica, pur nella totale diversità, così profonda da far esclamare, nei momenti di litigio verbale più intensi o di alleata complicità, ad un altro amico della cerchia: "mi sembrate due animali selvatici, assomigliate a Cip e Ciop". Una corretta sintesi di un acuto osservatore. A questo terzo amico devo la giusta definizione "Dell'Amicizia" che mi legava a Ciop. Sì, perché così eravamo stati identificati:  io Cip, il logico razionalista, il teorico spesso inconcludente, maniaco dell'ordine, un po' cinico, iroso, sarcastico, logorroico e spesso supponente mentre lui Ciop, il disordinato e farfuglione, con una grande capacità intuitiva innata, un disarmante senso dell'ironia, un'intelligenza istintiva, una generosità ancestrale, un cuore gigantesco. Peccato che di tutto ciò che eravamo uno per l'altro io me ne sia veramente reso conto solo dopo una gelida telefonata: Ciop è morto. Improvvisamente e, come avrebbe detto lui, senza dirmi niente: nemmeno un minimo di preavviso. In un umido mattino autunnale, come una foglia ingiallita lasciata cadere dal suo albero, Ciop se ne è andato lasciandomi solo.
Caro San Pietro, se non trovi la chiave del paradiso non ti preoccupare, te l'ha fregata Ciop. Per lui il cibo è una religione. Se ne starà sicuramente appollaiato sull'albero del bene e del male e si ingozzerà beatamente sgrannocchiando tutti i succulenti e maturi pomi del bene, mentre le mele marce del male, credimi, me le lascierà purgare giustamente tutte a me. Ciao Ciop, ora più di prima so di volerti ancor più bene.

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