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mercoledì 1 maggio 2013

Premio e Castigo

Le religioni del mondo, nelle loro varie teologie, definiscono cosa sia il male e cosa sia il bene. Descrivono, a volte in modo non sempre esaustivo, il premio che si riceverà o il castigo che sarà inflitto per i comportamenti tenuti nella vita terrena e previsti dalle leggi che regolano l'esistenza dopo la morte. La Divina Commedia di Dante, nell'ambito della religione cattolico cristiana, ipotizzava poeticamente l'assegnazione di tali premi o castighi in luoghi ben definiti dalla teologia di riferimento. Ovviamente si trattava di assunzione di responsabilità o di comportamenti meritevoli derivanti da giudizi soggettivi impliciti nel contesto storico istituzionale dell'epoca contemporanea e a quella precedente al sommo poeta. I premi o i castighi erano comunque elargiti o comminati ad un'entità corporea ben definita che apparteneva al trapassato anche in vita. Si é applicato in toto ciò che il bene o il male rappresentavano nella vita terrena e cioè la gioia ed il dolore come esperienze vissute tangibilmente da ogni singolo soggetto umano. Al di la quindi di un'analisi relativa alla giustizia divina delle azioni terrene degli uomini, il poema poneva, per il suo tempo, un giudizio etico e morale sui comportamenti delle personalità storiche passate e contemporanee al poeta. In linea teorica potremmo applicare lo stesso metodo di giudizio in relazione alle personalità del nostro tempo ma anche, retrospettivamente, a tutte le personalità importanti succedutesi nella storia dell'umanità. Proviamo però a teorizzare una situazione assolutamente agnostica di una possibile entità per ognuno di noi che possa continuare dopo la  morte del nostro corpo biologico. Una entità "non definibile" teologicamente, ma ipotizzabile dal punto di vista puramente intellettivo e metafisico, quindi non falsificabile. In questo contesto, che cosa potrebbe rappresentare un "premio" od un "castigo" per questa entità non riconducibile alle teologie religiose odierne dell'uomo e prive delle esperienze legate alla fisicità del corpo biologico?  Sì, insomma, se ognuno di noi si astraesse completamente dalle conoscenze religiose come non fossero mai state enunciate e perciò conosciute, che cosa potrebbe immaginare di aspirare o di temere in un contesto probabilistico per una propinata entità extra corporea in una vita successiva alla morte biologica? Escludiamo ovviamente l'ateismo puramente materialistico che asserisce che la morte biologica è la fine di tutto, ma ammettiamo che una proiezione della nostra esistenza fisica possa trovare, per estensione metafisica, una continuità soggettiva anche in uno spazio-tempo indefinito ed a noi sconosciuto. Dunque? Quale stato possiamo immaginare di benessere o di sofferenza in una simile situazione? Due cose importanti da chiarire prima di continuare in questo esperimento filosofico. La prima: non viene dato un codice di comportamento diverso rispetto a quello terreno nel quale l'uomo, come soggetto appartenete ad un gruppo sociale evoluto, deve rispettare alcune regole disposte dalla convivenza con gli altri soggetti in un contesto etico-morale dettato dall'ethos espresso dal medesimo gruppo. La seconda: il premio od il castigo non possono essere riferiti alle nostre condizioni umane di esperienza biologica (castigo o benessere corporali). Perciò si devono immaginare solo condizioni "psicologiche" ed "emozionali" derivanti dalla nostra mediazione intellettiva come astrazione totale dalla nostra  fisica esistenza.
Ebbene, tale ipotesi filosofica fu da me  proposta ad un gruppo di amici in una calda estate degli anni '70, in un periodo di idealismo ideologico ed in un contesto studentesco di strisciante retorica anti religiosa (in senso lato). Dopo lunghe ed interminabili discussioni ed ammettendo evidenti limiti di immaginazione metafisica, é apparsa decisamente vincente l'idea, maieuticamente estratta reciprocamente da ognuno di noi, che il supremo premio in un siffatto ipotetico contesto fosse dato dalla "assoluta libertà di poter essere in qualsiasi luogo voluto ed immaginato". L'inquinamento delle idee elaborate dalla nostra esperienza di corpo fisico biologico fu inevitabile, ma una buona dose di immaginazione fu propinata ed elaborata da ogni appartenete al gruppo di discussione. Ed il castigo? Ovvio: l'assenza di tale illimitato grado di libertà. La negazione di esaudire la volontà di poter viaggiare in quei luoghi immaginifici e meravigliosi da noi pensati. L'angoscia dell'impossibilità. L'impotenza metafisica della mobilità assoluta. Ma approfondendo ancora di più il nostro dialogo arrivammo alla conclusione che ciò che veramente avrebbe portato tale grado illimitato di liberalità motoria sarebbe stata la possibilità di avere una "conoscenza assoluta del tutto" in luoghi non diversamente definibili e in uno spazio illimitato senza tempo. Si presentò quindi il problema di capire se tale "conoscenza assoluta", non ben definita e forse nemmeno definibile dallo scibile umano, fosse pre-esistente al nostro stato o fossimo noi stessi creatori, per mezzo di questo massimo grado di libertà, di una qualche forma di sapienza. Ecco il nocciolo: la Sapienza.  La "Creazione", si dedusse in comunione, é la fonte, la costruzione, l'idea prima, l'assioma non falsificabile del tutto. Cioè il massimo premio era considerata la potenza della "Creazione" di stati e luoghi in cui ognuno di noi esprimeva il massimo delle proprie aspirazioni fantastiche senza lesinare nei limiti in cui la condizione umana ci aveva ingabbiati finora. Ma in quel momento di pensiero già noi fisicamente eravamo e, ad oggi purtroppo non tutti, ancora siamo. Il tempo, quindi, non poteva induttivamente essere da noi annullato. La discussione divenne quindi, per deduzione logistica, subito depressa dalla constatazione che noi già "eravamo", già "esistevamo" in spazi e tempi deducibili dalla nostra empirica esperienza di vissuto biologico e che quindi potevamo essere esattamente il prodotto di questo illimitato grado di libertà creativo posseduto già da qualche altra entità a noi sconosciuta. Quindi?
Nulla di nuovo sul fronte metafisico: ecco di nuovo Dio. E purtroppo Dio non siamo noi (il castigo), ma potremo aspirare alla sua "Conoscenza" (il premio).

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