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venerdì 27 dicembre 2013

Abbiamo Tutti La Nostra Spoon River

1930, Grant Wood, American Gothic,. Pubblicato da Domenico Olivero 

"Non al denaro non all'amore nè al cielo", é il disco del 1971 con la raccolta di nove canzoni che Fabrizio De André trasse liberamente da alcune poesie dell'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Ho pensato che se  il grande cantautore genovese fu ispirato dall'opera poetica dell'Antologia, valesse davvero la pena di leggerne le poesie. Così, dopo anni in cui mi ero ripromesso di acquistarne il libro, finalmente l'ho comperato in una di quelle bancarelle di libri che si trovano nei mercatini delle città.
L'Antologia, come affermò lo stesso autore, é un compromesso tra narrazione e poesia. Masters immagina che nel cimiero di Spoon River ogni tomba riporti in versi l'autobiografia narrata in forma di epitaffio da ogni singolo defunto che racconta in episodi salienti la propria vita e la propria morte. Mi ha colpito l'originalità dell'autore nel descrivere i molteplici vissuti di persone appartenenti ad una comunità che racconta se stessa in forma liberatoria, narrando la propria storia e le proprie attività in relazione ai rapporti sociali in essa contenuti. Ma quante Spoon River ognuno di noi potrebbe raccontare? Soprattutto per chi ha vissuto per un lungo periodo in una piccola città di periferia avendo conosciuto, magari non direttamente, molte persone che lì vi hanno trascorso la loro vita e sono morte. Oppure apprendendo il trascorso di vita di molti defunti attraverso la memoria di parenti o amici che sono stati testimoni diretti o indiretti delle loro vicissitudini. Ciascuno di noi, per chi ha memoria della propria identità come membro del proprio gruppo sociale, può ricordare volti, nomi, storie di chi è defunto e sepolto nel cimitero del proprio paese. Ti sovviene a volte, percorrendo i viali del camposanto, di ritrovare persone di cui avevi perso ogni traccia, ma non il loro ricordo. Rivedi improvvisamente volti e nomi che hanno rappresentato parte del tuo vissuto. Un senso di oppressione pervade la mente sapendo che ora queste persone non sono più tra noi. Un vuoto senso di impotenza ti stringe come un nodo alla gola, non riuscendo a capire perché ciò avvenga e ti rammarichi di non aver avuto occasione di parlare più spesso con loro e di non poter più sentire le loro storie, udire la loro voce, ascoltare i loro desideri, rincuorare le loro delusioni. Spesso il ricordo inganna la realtà dei fatti trasformando episodi ritenuti trascurabili nel momento in cui accaddero in epici momenti indimenticabili. Cose  che quando accaddero all'epoca delle loro manifestazioni furono sgradevoli, si rivivono oggi come dolci ricordi. Sembra che il tempo, esorcizzando il lutto della scomparsa, provochi un effetto distorsivo sulla visione del ricordo degli episodi accaduti nel passato. La mente rimuove gli effetti negativi degli accadimenti di vita vissuta e lascia  trasparire solo un piacevole ricordo che rasserena l'anima e pacifica lo spirito. 
La metafora perfetta della distorsione visiva del tempo che passa é rimata, tra le righe dell'Antologia, dalla poesia di "Dippold l'ottico":

Che cosa vedi adesso? 
Globi di rosso giallo e viola.
Un momento! E adesso?
Mio padre mia madre e le mie sorelle.
Sì!  E adesso?
Cavalieri in armi, donne bellissime, volti gentili.
Prova questa.
Un campo di grano - una città.
Molto bene! E adesso?
Un giovane donna con degli angeli chini su di lei.
Una lente più spessa. E ora?
Molte donne con gli occhi luminosi e le labbra aperte.
Prova questa.
Solo una coppa su un tavolo.
Oh, capisco! Prova questa lente.
Solo un spazio aperto - non vedo niente di particolare.
Bene, adesso?
Pini, un lago, un cielo d'estate.
Così va meglio. E adesso?
Un libro.
Leggine una pagina.
Non posso. I miei occhi sono trascinati oltre la pagina.
Prova questa lente.
Profondità d'aria.
Ottimo! E adesso?
Luce, solo luce, che trasforma tutto il mondo in giocattolo.
Molto bene, faremo gli occhiali così.

(da "Antologia di Spoon River" di E.L. Masters - New York -1915).

lunedì 25 novembre 2013

∞ = Sconosciuto



Ci sono esperienze straordinarie che durano pochissimo tempo rispetto alla lunghezza media di una vita, ma quei momenti si imprimono indelebilmente nella mente di chi li ha trascorsi. Ne racconto uno come esperienza personale in un luogo che di solito non si ricorda con molta nostalgia se non, forse, solo per i compagni che assieme ad ognuno di noi in esso hanno vissuto e studiato: la scuola.
Per non rassegnarmi ai molti anni trascorsi da quell'episodio, tralascio l'anno ed il luogo in cui i fatti qui raccontati sono accaduti e li riporto, in forma romanzesca, usando il tempo presente e citando dei nomi di fantasia, tanto per restare in regola con la privacy.
Frequento la seconda classe di media superiore in un istituto tecnico commerciale. Età 16 anni. Il mio banco si trova in posizione centrale al penultimo posto e lo condivido con Ciano P. che a sua volta, bontà mia, lo condivide con me. Bontà mia lo cito per il fatto che il buon Ciano, oltre ai libri scolastici, si porta ogni giorno appresso una serie di altri documenti cartacei di informazione propagandista e di formazione ideologica: è un militante di Lotta Continua. Nel suo affollato seguito documentale non manca mai il libretto rosso di MaoTseTung, il Capitale di Marx in formato tascabile, trattati di Hegel, dichiarazioni di Marcuse, estratti di Habermas e, ovviamente, il giornale del suo movimento di lotta. Tutto questo materiale ha il buon gusto, vista l'abbondanza, di sparpagliarlo tra il suo ed il mio banco mescolando confusamente il materiale ideologico e propagandistico con quello scolastico. Ciano è di corporatura piccola e minuta. D'inverno indossa maglioni di due taglie più grandi a cui a volte abbina camicie che sembrano lenzuola. Il cappotto è per lui un sostantivo privo di significato: utilizza esclusivamente l'eskimo di ordinanza. Porta una zazzera bionda con ciuffo prospicente che gli copre spesso gli occhi, ma è segaligno, combattivo, ideologicamente inquadrato e maledettamente sicuro di sé: esattamente l'opposto di me. Ha un gran pregio rispetto ad altri compagni e compagne: si fa sempre gli affari suoi e non rompe le palle a nessuno tranne che non si cada in discorsi politici. Allora, apriti cielo! Diventa logorroico, provocatore  e anche indisponente.
E' iniziata da qualche minuto la lezione di matematica con il professore Di Casio. Introduce le equazioni di secondo grado e ne spiega il metodo di soluzione. La classe è sonnolenta e svogliata. Solo Sergio P., seduto in primo banco e genio della classe, pare l'unico interessato alla faccenda. Di Casio è un professore bonario di età ormai avanzata e si vocifera che il presente sia l'ultimo anno di insegnamento prima dell'agognata pensione. E' calvo ed una corona di sottili e cortissimi capelli grigi gli circondano a malapena le ampie tempie. Una striscia sottilissima di baffetti di color sale e pepe gli sporca il labbro superiore. Ad un certo punto il professor Di Casio si zittisce e cala un silenzio irreale. Ha colto che la classe tutto sta facendo, tranne che ascoltare la sua lezione. Quel silenzio blocca le faccende di chi è in altre cose affaccendato e risveglia chi ha la mente assopita e pisolante. Quando tutta la classe é finalmente sintonizzata sulla dura realtà scolastica, il professore  pronuncia un'affermazione tutt'altro che banale: "Vedete ragazzi, non avete voglia di ascoltare la lezione non solo perché avete difficoltà a comprendere la matematica, problema che io ho particolarmente a cuore e per cui mi sto dando dannatamente da fare perché voi siate in grado di superarlo, ma perché, cosa ancor più serie e grave, non capite nemmeno le proposizioni della lingua italiana". Pausa di silenzio glaciale. Non so perché, ma ho la sensazione che Ciano P., da come ha rizzato il collo e sporto leggermente la testa fuori dalla fila dei banchi che ci stanno davanti, abbia preso quell'acuta osservazione come una dichiarazione politicamente rilevante ed esce con un'affermazione ad alta voce che lascia allibita l'intera classe e dichiara: "Bella forza! Logico, la lingua italiana utilizza ventun lettere mentre le cifre in matematica sono solo dieci! Il confronto non regge, giusto?" Silenzio. Il suo sguardo fiero non smette di fissare quello di Di Casio il quale gli ordina: "P., vieni fuori che facciamo due chiacchiere".
Ciano, da buon materialista laico la cui unica trinità ammessa nella sua teologia politica era la troika Stalin, Lenin e MaoTseTung, alzandosi dal banco piega leggermente la testa abbassandola verso di me e tira sommessamente un porco sincopato e scandito in modo limpido. Con passi lenti si avvicina alla cattedra sfoggiando il suo maglione arancione che gli arriva alle ginocchia mentre i jeans, di taglia un po' corta, gli lasciano intravedere i calzini che si infilano negli scarponi anfibi. Ciano prende posizione sul lato destro della cattedra dove sta seduto il professore e volge le spalle alla lavagna. "Dunque dicevi?" - riprende Di Casio accompagnando la domanda allungando il braccio e stendendo la mano in segno di dare parola al povero Ciano. "Dicevo che dal punto di vista logico é più difficile comprendere una lingua come la nostra le cui parole sono composte da un alfabeto di ventun lettere rispetto alla matematica che utilizza solo dieci simboli formati dalle cifre dallo zero al nove. Non parliamo poi degli orientali come i Cinesi e i Giapponesi che di simboli ne utilizzano a migliaia. Tutto qui." Il professore Di Casio tira un sospiro e risponde: " Intanto, giusto per precisare ed utilizzare i termini in modo corretto, le cifre sono simboli utilizzati dall'aritmetica che è un ramo appartenente a quell'enorme albero che si chiama matematica la quale utilizza nel suo complesso un gran numero di altri simboli e segni. Poi, é vero che l'ortografia linguistica utilizza anche altri segni, ma non sono quelli che fanno la differenza." Pausa riflessiva. Ciano riprende: "Professore, il linguaggio è vastissimo. Quando lei ci spiega la matematica lo fa per il tramite del linguaggio parlato e scritto che ognuno utilizza normalmente per comunicare, altrimenti nessuno ci capirebbe un accidente né di matematica né di qualsiasi altra cosa." Di Casio stende il braccio sinistro e con il dito indice puntato verso Ciano P. declina perentorio: "Vai alla lavagna e scrivi quello che ora ti detterò. "Ciano si gira verso la lavagna e afferrato il gesso con le punta delle prime tre dita della mano sinistra (è un maledetto mancino come lui si definisce) attende la dettatura. "Dcfb" -  pronuncia il professore. Ciano gira la testa verso Di Casio, poi verso la classe e con fare perplesso oscilla leggermente la testa, inarca all'ingiù le labbra e senza proferire alcuna parola, come nel suo stile crudo e diretto,  fa trasparire il suo silenzioso pensiero:  'Che cazzo ha detto? ' Il professore scandisce chiaramente di nuovo: "Dcfb, ripeto letteralmente, d-c-f-b, chiaro?" Ciano scrive: "dcfb". "Bene - annuisce il professore - ora scrivi un simbolo successivo che secondo te potrebbe dare un significato alla frase". "Eh? E cosa ci devo mettere? Che cacchio ne so? Queste lettere non significano nulla!" Affiora un sorriso beffardo sulle labbra del professor Di Casio e i suoi sottili baffetti sembrano vibrare come piccole setole di una ruga in calore e sbotta: "Stai attento al linguaggio che usi. Se affermi che non, e sottolineo non, significano nulla, vuol dire che significano qualcosa, diverso da  nulla. Altrimenti devi affermare che hanno un significato nullo, cioè uguale a nulla. Tradotto in lingua matematica dovresti scrivere come ora ti detto." Ciano attese impaziente ed il professore detta: 'dcfb' = 'nulla'; secondo te va bene questa formula o c'è qualcosa che non quadra?" "Va benissimo" - afferma Ciano. Riprende il professor Di Casio: "Dal punto di vista qualitativo, cioè del significato linguistico, questo è un risultato apprezzabile, ma dal punto di vista quantitativo è corretto?" E Ciano: "Boh! Ma che ne so." Pausa. "Non hai capito cosa intendo, vero P.? Allora, immagina che il segno di uguale sia il fulcro di una bilancia e sul piatto di sinistra ci metti le lettere che stanno a sinistra del segno di uguale e su quello di destra le lettere che stanno alla sua destra, considerando che sono dello stesso materiale e delle stesse dimensioni.... Allora?" Conosco perfettamente ogni espressione del volto di Ciano e comincio a vedere che le sue labbra si stringono in uno stretto sorriso che fanno apparire due fossette oblunghe ai lati della bocca, indice di disagio e di insofferenza: "Peseranno di più le lettere che stanno sul piatto di destra perché sono di più rispetto a quelle del piatto di sinistra: 'nulla' é una parola composta da cinque lettere mentre 'dcfb' sono solo quattro lettere." Di Casio: "Allora, almeno dal punto di vista quantitativo, 'dcfb' e 'nulla' non sono uguali, giusto?" "Giustissimo" - replica Ciano. "Quindi il segno di uguale non va."  afferma Di Casio. "Non va",  gli fa eco Ciano. "Però c'è qualcosa che non torna..."  replica dubbioso il professore. "Scusa P., prima hai scritto dcfb = nulla. Ciò si intende, anche qualitativamente, che io posso invertire l'ordine dei membri dell'ugualgianza e il suo significato non cambia. Se pongo cioè: 'nulla' = 'dcfb', non ho mutato il valore semantico della prima uguaglianza, che ne pensi?" Ora appare un po' di rossore sulle gote di Ciano ed è sintomo, per lui rarissimo, che qualcuno lo sta prendendo per il culo: "Scusi professore, si spieghi meglio perché fino ad un momento fa lei era d'accordo che 'dcfb' sono lettere che abbinate non hanno significato. Quindi l'uguaglianza con 'nulla', dal punto di vista qualitativo, va bene. D'altronde è stato lei ad affermare che la corretta dicitura è affermare che 'sono prive di significato' e che ciò equivale appunto a 'nulla'.  Quindi è corretto dal punto di vista qualitativo, cioè del significato, porre 'dcfb' = 'nulla'. Non si rimangi ciò che ha detto, altrimenti io sbaglio, ma sbaglia anche lei. E un professore che si intorta...." Di Casio si mette una mano sulla bocca e fissa per un attimo la classe in silenzio, poi sbotta: "Ma scusa, distrattissimo P, l'hai detto e scritto tu o non l'hai detto e scritto tu che 'dcfb' = 'nulla' e 'nulla' = 'dcfb' sono uguaglianze che affermano la stessa cosa? Lo confermi?" Ciano resta spiazzato dal rimbrotto e deciso rimanda: "Lo confermo!" "Bene - riprende il professore - scrivi allora la seguente frase: lo studente P. capisce il significato della parola 'dcfb'." Pausa. "Sei d'accordo con questa affermazione?" "Ma se abbiamo appena detto che la parola è priva di significato, cioè  nulla, sta per caso giocando alle tre carte,  professore?" - puntualizza subito Ciano. Il sorriso di Di Casio è ora apertamente più beffardo che mai: "Appunto, vedi che lo sai il significato di 'dcfb'? L'hai appena affermato tu che è priva di significato, cioè 'nulla', perciò ha un significato ben chiaro e puoi utilizzare questa parola in sostituzione di 'nulla' proprio in forza dell'ugugaglianza dove hai posto qualitativamente  'dcfb' come sinonimo di  'nulla'. Ora potremo tutti affermare tranquillamente, dopo questo tuo chiarimento che ci ha illuminati, che voi oggi state capendo un bel dcfb delle equazioni di secondo grado che io sto tentando disperatamente di insegnarvi. Il fatto è che quello che sembra non è. Il problema che ci siamo posti sul significato di una parola apparentemente priva di significato nella lingua scritta e parlata è il risultato di una convenzione che abbiamo stabilito tra noi. Ma non è una soluzione linguistica, ma matematica. Si è creato un nuovo elemento appartenente ad un sistema, detto insieme, a cui abbiamo aggiunto arbitrariamente per convenzione un nuovo vocabolo a quelli che linguisticamente vengono definiti sinonimi della parola 'nulla', come ad esempio sono le parole 'niente', 'nessuno', 'privo','vuoto' (ma non in fisica) eccetera eccetera. Per dimostrarvi che la soluzione è matematica  potremmo sostituire le lettere con numeri reali interi e allora si che ci si diverte un sacco! La prima logica sostituzione numerica ora ve la scriverà P. alla lavagna, perché, come lui ha affermato, ha capito che 'dcfb' = 'nulla'. Scrivi dunque P. alla lavagna:  'dcfb = 'un numero' che tu ora correttamente riporterai " Colpo di scena di Ciano che, devo ammettere, è un bravo combattente che non ci sta a farsi mettere nell'angolo del ring sotto la stringente ed incalzante logica di Di Casio e afferma: "Guardi professore che lei è fuori strada. Il linguaggio ammette molte sfumature che lei sta abilmente usando, ma in questo modo lei sta proprio avvalorando la mia tesi e cioè che il linguaggio è molto più difficile da comprendere rispetto alla matematica perché esso può essere soggetto ad ambiguità e sottintesi che rendono a volte difficile, se non impossibile, capire il significato reale delle cose." Stiamo tutti assistendo ad un match inatteso e siamo curiosi di vedere come va a finire. Di Casio è troppo bravo, troppo forte e anche molto umile e modesto, ma Ciano è duro a morire e azzanna come un mastino. Di Casio si alza pigramente dalla seggiola. Scende, si avvicina a P. e lo invita sedersi in cattedra al suo posto. Ora riconosco il sorriso di Ciano, più rilassato e soddisfatto per la performance appena esibita. Sale trotterellando sul piedistallo e si siede paciosamente sulla seggiola del professore. "Ti ho fatto sedere in cattedra, caro P., perché hai fatto un'affermazione 'magistrale' sulla differenza tra convenzione linguistica e convenzione matematica, differenza vera, che porta però all'autentica falsità della tua convinzione. E' effettivamente vera l'affermazione che mentre la lingua parlata e scritta è spesso soggetta ad ambiguità, doppi sensi, ossimori, cioè descrivere situazioni con oggetti in antitesi tra loro e altre diaboliche formule che sono riassunte in una disciplina oratoria chiamata retorica mentre  la matematica, diversamente, esprime sempre e comunque significati univoci, senza contraddizioni ed escludendo situazioni diverse rispetto ad un risultato che sia vero o falso. Questo metodo, detto anche scientifico, porta a scoprire perché le cose sono effettivamente vere e riproducibili da quelle che sono invece false. Un buon avvocato può difendere un uomo accusato di omicidio in base al suo fornito corredo linguistico, oltre ovviamente che alla sua preparazione giuridica, ma se la polizia scientifica trova che le uniche impronte sulla pistola oggetto dell'omicidio (dove le prove balistiche confermano che quella, e solo quella pistola ha sparato il colpo mortale) corrispondono alle impronte del suo difeso, difficilmente il giudice assolverà l'imputato. Le prove scientifiche utilizzano modelli matematici che asseriscono o il vero o il falso, la retorica no. Dunque torniamo a noi ed al nostro insieme di elementi in cui abbiamo inserito la parola 'dcfb'. Mi sapresti dire tu P. a quale  numero logico corrisponde secondo te l'uguaglianza della parola 'dcfb' escludendo, perché l'abbiamo già visto, l'aspetto quantitativo ed introducendo invece un'altra forma di logica matematica insiemistica?" "No!" - sentenzia Ciano. Punto. "Allora hai gettato la spugna ed ammetti che la matematica ha aspetti più profondi ed universali rispetto alla lingua. Te ne dò un esempio molto semplice" Di Casio scrive alla lavagna: 'due più due uguale a....', poi si gira verso la classe e dice: "Se io portassi un cinese davanti a questa lavagna e gli facessi  vedere questa scritta che cosa mi direbbe?" " 'Na minchia... - sbotta Ciano che subito aggiunge - scusi professore ma mi porta proprio il cinese che utilizza gli ideogrammi...., suvvia!" " Ti perdono perché hai utilizzato un'imprecazione siciliana ed io sono siciliano e vorrei proprio conoscerlo il cinese siciliano. Comunque il senso della risposta è corretta. Non saprebbe cosa rispondere e quella frase gli apparirebbe come un sequela di segni senza senso. Ma se io ora cancello questa frase e scrivo: ' 2+2=......' cosa scriverebbe il cinese al posto dei puntini del risultato? Facile, no. Il linguaggio matematico è universale, la lingua scritta e parlata no. Il fatto è che la matematica è la lingua con cui è scritto l'intero libro della natura dell'universo. Per cui l'immensa vastità delle sue applicazioni è praticamente infinita. Attenzione! Anche l'infinito ha un suo simbolo in matematica ed è quell'otto disteso che appare in molte formule. Non esiste un infinito univoco. Ci sono tanti infiniti. Forse esiste un numero infinito di infiniti. Gli infiniti hanno poi particolarità uniche in matematica. Ad esempio nella teoria degli insiemi, studiata e introdotta  dal matematico tedesco Georg Cantor con cui egli sviluppò  il concetto dei numeri, gli insiemi di numeri infiniti sono delle stesse dimensioni anche se un insieme è contenuto nell'altro." Pausa prolungata di silenzio. "In che senso?" - sbotta Sergio B. il genio secchione della classe. La classe rumoreggia frenetica e se la ride perché finalmente anche il genio è in difficoltà ed il popolo inneggia sottobanco alla loquacità di Ciano, ma ciò gli porta male perché Di Casio è spietato e risponde: "Ora te lo spiega P. con il mio aiuto." Ciano congiunge le mani e le oscilla avanti ed indietro con un sorriso beffardo come a dire: 'Ma chi? Io dovrei spiegare una teoria matematica a quel dinosauro che divora numeri a tonnellate? Ma quando mai! Ma fatemi il piacere! Al massimo io contesto.' "Procediamo - inizia Di Casio - P. scendi dalla cattedra e ridammi il mio posto." Ciano scende con tono dimesso e con un sorriso un po' spento." Allora scrivi tutti i numeri naturali interi partendo dal numero 1 per poi fermarti prima di uscire con il gesso dal bordo della lavagna." Ciano rimane per un attimo smarrito, inarca un sopraccigli, allarga le narici e dice: "Devo scrivere 1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,11,12,13,14,15,16......ma fino a quando?" "Lunghezza a tuo piacere, poi fai seguire una serie di puntini per indicare che la serie continua." Ciano scrive alla lavagna fino al numero 16 e poi fa seguire una serie di puntini fino al bordo della lavagna. "Bene - sentenzia il professore - se tu potessi continuare, con che numero finiresti?" " E che ne so? - risponde tra il serio ed il faceto il buon Ciano - forse non finirei mai!" "Oddio - sentenzia Di Casio - ti auguro lunga vita, ma non penso possa essere eterna, convieni?" "Convengo professore, ma si da il caso che i numeri sono infiniti, per quanto ne so, o no?" "Sì, lo sono. Convengo. Ora, però, nella riga successiva devi riportare solo i numeri pari lasciando lo spazio vuoto dove ci sono i dispari."  Ciano scrive: '2,4,6,8,10,12,14,16.......' "Bene - afferma soddisfatto Di Casio - rispetto a quelli di prima quanti sono?" "La metà - afferma sicuro Ciano -, sono esattamente otto numeri rispetti ai sedici iniziali" Il professore fa una piccola pausa di silenzio e poi chiede a P.: "Puoi affermare quindi che la riga superiore ha sedici numeri e che la riga inferiore ha otto numeri che derivano dal primo insieme, quello più grande. In parole più semplici gli otto numeri della seconda riga sono contenuti nei sedici della prima, giusto?" "Giusto!" risponde perentorio Ciano. "Potresti quindi affermare che il sotto insieme dei numeri pari è inferiore a quello dell'insieme di numeri totali della riga superiore perché in esso già contenuti, giusto?" "Giusto!" conferma il buon Ciano."Giusto un accidente! - sbotta il professor Di Casio - guarda bene perché così non è." Ciano gira attorno alla lavagna e guarda dietro a mo' di farsa per vedere se dietro la lavagna c'è la soluzione dell'enigma. "Ma dove guardi, sciagurato! - sbotta il professore - devi guardare nelle righe che hai scritto e dedurre che così non è." Ciano si avvicina alle righe scritte sulla lavagna e stringe gli occhi per vedere la soluzione, ma non gli viene un accidente. "Ora scrivi - ordina seccamente Di Casio - sotto ad ogni numero pari,  iniziando  dal numero 2, la normale sequenza dei numeri naturali come nella prima riga. Otterai così sotto il numero 2, il numero 1, sotto il numero 4, il numero 2, sotto il numero 6 il numero 3, eccetera eccetera. Conterai, quindi, da uno ad uno, tutti i numeri pari finché saranno terminati tutti i numeri pari esistenti nell'universo! Quanti sono?" "Infiniti!" - risponde quasi urlando Ciano. "Bravo! Vedi,  hai dimostrato la teoria degli insiemi infiniti con il quale si dimostra che un insieme infinito contenuto in un altro insieme infinito è di uguale grandezza. I due insiemi si definiscono matematicamente equipotenti. Siamo d'accordo?" "Perfettamente!" sentenzia Ciano. Il professore ora volge lo sguardo verso Sergio B. e, quasi sommessamente, gli dice: "Hai visto? P. ti ha spiegato in maniera chiara ed esaustiva la teoria degli insiemi infiniti. Soddisfatto?" Sergio B. non proferisce alcuna parola perché qualsiasi risposta potrebbe essere usata contro di lui. "Deve essere chiaro a tutti che l'infinito rappresenta una sorta di limite per le soluzioni matematiche. Quando un matematico incontra questo simbolo deve ammettere che esiste un universo sconosciuto oltre o, forse, entro di esso e nulla potrà portare a soluzioni che siano completamente accettabili sotto il profilo della verità matematica.
"Ma mi dice ora che cavolo di numeri devo mettere dopo 'dcfb'? Quello proprio non l'ho capito!" - sbotta seccato Ciano P. "Bravo. Proprio bravo. - con fare sconsolato ribatte Di Casio - ma a cosa è servito allora tutto il discorso fatto finora?" Risponde Ciano: "Scusi, abbiamo parlato di numeri, ma le lettere cosa c'entrano?" "Scrivi in una riga tutto l'alfabeto della lingua italiana"  - Di Casio accompagna l'ordine perentorio indicando con il braccio sinistro e il suo indice tesi come un violino. "P. scrive velocemente in un'unica riga l'intero alfabeto ed il gesso, sotto le dita fortemente arcuate, ogni tanto stride in maniera orrenda. "Ora  - prosegue il professore - sotto ad ogni lettera partendo dalla 'A' scrivi la sequenza dei numeri partendo dal numero 1, come se dovessi contare tutte le lettere dell'alfabeto." "Ecco fatto - annuncia trionfante Ciano -  sono ventuno." "Ma va? - sbotta il professor Di Casio - non pensavo...." E la classe se la ride alla grande. "Veramente non pensavo neanch'io eppure, nonostante Cantor, è cosi!" -  ammicca  pericolosamente il buon Ciano P. che sembra un sorcetto arancione  che scherza con un grigio gattone di cento chili. "Senti Einstein - lo rintuzza il professore - dimmi quali numeri ci sono sotto le lettere 'd,c,f,b' e riscrivili a parte. Ciano estrapola e scrive: 4,3,6,2. "E  allora? Cos'hai da dire? Deduci, se ce la fai." Ciano scrive dopo le cifre il segno di uguale e ne viene fuori: '4362' = 'dcfb'. "Va' abbastanza bene. Ci sarebbe da aggiungere l'ambiguità dei numeri a doppia cifra assegnati a partire dalla lettera "L" che è la numero 10 della serie, ma questo sarà argomento per una prossima lezione. Inoltre la simbologia degli insiemi prevederebbe altri segni ma, visto che voi manco sapevate di cosa stavamo parlando, possiamo essere soddisfatti del risultato raggiunto."
Purtroppo, con mio grande rammarico, non ci fu nessun'altra "prossima lezione". 

Questa mitica e romanzata ora di matematica restò indelebilmente impressa per sempre nella mia mente. Degli insiemi non sapevamo praticamente nulla. Dopo quel giorno si aprirono nuovi orizzonti in merito alla portata universale dell'univoca lingua matematica.
By Eugenio Acran - a.s. 1971/1972


P.S.:  La prima presenza di tematiche sugli ‘Insiemi’ si trova nei programmi per la scuola media del 1963, poi rivisti nel 1979. Nella scuola secondaria a partire dal 1985 si diffondono le sperimentazioni su larga scala. In particolare dei programmi PNI (Piano Nazionale dell’Informatica). (Tratto da http://www.treccani.it/scuola/lezioni/in_aula/matematica/insiemi/ciarrapico.html)

mercoledì 13 novembre 2013

Inganni Spaziali

  Disegno di Maurits Cornelis Escher

Gaia Femmina


Dipinto di Sara Landau











LE TUE LABBRA DISCHIUDONO
CON  GARRUL0  SUONO
UN LUDICO CANTO
DELL’INNO ALLA VITA 
ED  IL  SENO  SINUOSO
DIFFONDE  NELL’ANIMA
SENSIBILI  IMMAGINI
DI  VOCI  PERDUTE
UN  SORRISO  D’INCANTO
RAPISCE  L’IGNOTO
E DONA  LA  GRAZIA
CHE ARRECA  LETIZIA


lunedì 11 novembre 2013

Dura Lex, Sed Lex


Nel trattatarello "De Amicizia" (Laelius) Cicerone racconta di un ipotetico dialogo tra Gaio Lelio e i suoi due generi ed ha come argomento la profonda amicizia che lo legava a Scipione Emiliano, il distruttore di Cartagine nel 146 a.c.. Cicerone dedica il dialogo al suo intimo e fidato amico Tito Pomponio Attico. Egli discerne sul valore dell'amicizia intesa come rapporto all'interno della società romana della sua epoca (44/43 a.c.), contrapponendo l'idea di amicizia intesa come legame utilitaristico propugnato dalla filosofia epicurea al significato di amicizia inteso nella sua società contemporanea. Il travisamento attuato nei confronti del significato del sentimento di amicizia nella filosofia epicurea secondo la quale, a dire di Cicerone, l'unico interesse che lega le persone è di tipo utilitaristico e non etico-morale, nasconde in realtà una visione della società romana nella cui interpretazione Cicerone afferma il dovere di impegnarsi politicamente e di attuare una rete di relazioni di amicizia nelle quale si deve trovare, oltre ad un reciproco interesse di protezione e di mutua assistenza, anche il "piacere" di prodigarsi per il bene delle persone che hanno stretto questo legame. Rimane chiaro l'intento di criticare l'amicizia in senso epicureo in quanto essa prevede il completo distacco  e il totale disinteresse per la vita politica, in cui egli era molto impegnato, e l'inerzia totale delle divinità nelle umane azioni. La distorsione, messa in atto con evidente scopo politico, addita negli avversari politici, Giulio Cesare in testa come noto seguace di Epicuro, di cercare legami di amicizia unicamente a scopo di tornaconto personale, abbandonando chiunque al suo destino nel momento in cui tale tornaconto viene a mancare. Tutto questo, traslato nella nostra epoca moderna, sembrebbe di poca rilevanza se non addirittura privo di senso in quanto l'amicizia naturale, cioè senza alcun tornaconto personale, viene chiaramente distinta dal rapporto di conoscenza che sottende ad un chiaro scopo utilitaristico. Penso, ad esempio, ai dirigenti e ai militanti di uno stesso partito politico nel quale i rapporti di amicizia sono davvero rari e l'unico legame all'interno dell'istituzione partito è, o meglio dovrebbe essere, il raggiungimento di uno stesso obiettivo all'interno della società di appartenenza che condivide scelte di carattere economico, sociale, culturale ed educativo. Anche all'interno di luoghi in cui le persone si trovano a dover condividere e collaborare, loro malgrado, in uno spazio e con scopi ben precisi loro assegnati, come i legami dettati dal rapporto di lavoro, la vera e profonda amicizia è molto rara. Detto questo, si deve però porre l'accento su cosa sia veramente una "vera amicizia" ma, soprattutto, quali sono i comportamenti ed i limiti che dovrebbero essere posti a tale sentimento umano.

Per esempio, commettere una cosa ingiusta per aiutare un vero amico in un suo momento di difficoltà è lecito oppure no? In sintesi, l'amicizia vera e profonda che condivide anche ideali etici e morali, oltre che momenti di svago e piacere, deve ritenersi prioritaria rispetto a situazioni nelle quali tu dovresti comportarti male o, peggio, contro la legge per la sua difesa? Si può anteporre l'amicizia ai diritti-doveri di cittadino e della società in generale? Belle domande a cui si possono porre molti "distinguo" per i vari contesti in cui gli amici in oggetto si vengono a trovare. Nella nostra società moderna e secolarizzata purtroppo si assiste non solo a reati contro la legge al solo scopo di difendere un'amicizia (forse capibile ma non giustificabile), ma per difendere interessi comuni di varie corporazioni o ambienti economici attigui alle proprie attività e che coinvolgono familiari o amici. 
Morale? Rileggiamoci il dialogo platonico "Critone". Socrate è in galera condannato a morte e mancano pochi giorni perché la sentenza venga eseguita. L'intimo e fedelissimo amico Critone  espone a Socrate il suo piano di fuga: corrompere le guardie e scappare aiutato dagli amici in un altro paese in esilio volontario. Critone afferma che è una cosa giusta perché la condanna di  Socrate è ingiusta e la maggior parte dei cittadini approverebbe tale fuga e, forse, anche una parte dell'autorità ateniese. Risposta di Socrate: non se ne parla nemmeno di fuggire. Io, dice Socrate, ho passato la mia vita intera alla ricerca di un comportamento che sia rispettoso della società in cui vivo ed in cui io sono parte attiva e nella quale la legge rappresenta, giustamente o ingiustamente, un codice di comportamento che deve essere uguale per tutti. Il compito di ogni cittadino è di individuare le leggi ingiuste o inique e fare di tutto per cambiarle, ma mai in ogni caso di trasgredirle. Fuggire, denuncia Socrate, per compiacere all'amicizia sarebbe come rinnegare il codice di comportamento della società a cui appartengo e quindi di rinnegare anche la mia stessa vita e sarebbe più ingiusto della stessa ingiusta legge che mi condanna: Dura Lex, Sed Lex.

giovedì 17 ottobre 2013

Stelle di Quarks

http://chandra.harvard.edu/photo/2002/0211/0211_optical.jpg    LA STELLA RX J185635-3754
 
Non c'è ancora una prova certa, ma sembra che tra lo stadio di una stella a neutroni, massa limite di Tolman-Oppenheimer-Volkoff (TOV) che si trova nella fascia di stelle con massa compresa tra 1,5 e 3 masse solari, e un buco nero ci sia lo stadio di stella di quark. L'appassionato romanzo dell'astrofisica riserva sempre nuovi scenari. La cosa però ancora più affascinante è che le tre tipologie di quark che sono liberi all'interno di una  stella di quark, detta stella strana (dall'inglese strange), producono un unico gigantesco nucleo neutronico formato da quark up, quark down e quark strange (eccolo!) , cioè un enorme nucleo atomico neutro. Per enorme s'intende ovviamente una dimensione astronomica dell'ordine della grandezza di una stella. L'infinitamente piccolo della materia subatomica riproduce se stesso nella titanica scala astronomica per il tramite della terrificante e, in parte, misteriosa forza della gravità. 
Proviamo a fantascientificare (verbo neologistico dato dal verbo fantasticare associato al sostantivo scienza) e mi domando: se l'universo fosse un enorme acceleratore di macro particelle? Uno spazio torico in cui gas e materia in espansione fossero prodotti da forze colossali la cui origine è a noi sconosciuta (causa del Big Ben tanto menzionato) ed il cui collante (e collassante) fosse la forza gravitazionale? Chi poi avrebbe costruito questo acceleratore universale (o multiversale?). Qui si trova, per ora, il limite della scienza ed inizia la disciplina filosofica nello specifico settore ontologico (inteso come origine degli enti esistenti). Resta comunque, senza entrare nella sottile e speculativa filosofia esistenziale, un impressionante parallelismo tra infinitamente piccolo ed infinitamente grande. Ecco perché gli scienziati studiosi della fisica della materia atomica dell'infinitamente piccolo si accaniscono a spaccare le varie particelle di cui essa é composta cercando di scoprire (e di riprodurre) le leggi della materia dell'infinitamente grande. Riusciranno i nostri eroi (in senso tecnico) a scoprire finalmente il mattone primordiale della materia? In modo speculare, riusciranno i nostri astrofisici a capire cos'é la materia oscura che sembra abbondare in maniera preponderante nell'intero universo? La gara a chi scopre per primo la "materia mancante" é già iniziata da un bel pezzo, ma la cosa curiosa é che forse solo assieme, all'unisono, scopriranno l'arcano del mistero. Quando? Io spero: prossimamente sui nostri schermi.

martedì 15 ottobre 2013

Per Non Dimenticare

Copy of a Maxfield Parrish landscape painting -- Ria HillsDipinto di Maxfield Parrish

Ecco riappare il ricordo 
S'apre da un aspido cardo
-
Un paesaggio riflesso nell'acqua
S'increspa in fatue immagini
Che il logorio del tempo trasforma
In diafane visioni fallaci
-
Rumori lontani e distorti  
Sibilano nelle notti oscure
Suscitando insonni paure
Di cui rimane una labile traccia
-
Un'esile nenia onirica
Flebile bisbigliar di voce
Da un roco anfratto umido
Si espande nel silenzio tacito
-
Un girotondo di liriche danze
Cullano le mie rimembranze

by Eugenio Acran






lunedì 7 ottobre 2013

Vette Irraggiungibili

Art  Tatum

Chi suona il pianoforte (anche per hobby e maledettamente male come me)  e ascolta per la prima volta l'inaccessibile virtuosismo artistico del pianista Art Tatum pensa solo ad una cosa: non toccare mai più una tastiera!

http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=D9Cs_zb4q14
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=4BTw6epdq7g
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=MNp-ldlnf5s
http://www.youtube.com/watch?v=GLYT3cPA5T8&feature=player_detailpage

giovedì 19 settembre 2013

Amico Fedele



A gatto Pompeo fuggito per amare e tornato per amore   

      


 Bussò una sera portato dal vento
Un sudicio micio dal manto d'argento
Aveva gli occhi color della giada
E nera la fame del gatto di strada

Il pelo malconcio e la zampa azzoppata
Saziò la sua pancia e passò la nottata
Fuggendo il destino e vedendosi morto
Restò nei paraggi cercando conforto

La sorte gli diede una grande fortuna
Trovare una casa con tanto di affetto
Per tetto non stelle e nemmeno la luna
Ma una piccola tana con un soffice letto

Lo splendido micio dagli occhi di giada
Incontrò la sua fine sull'orrida strada
Il corpo straziato e lo sguardo ormai spento
Bussò per morire e tornare nel vento

By  Eugenio Acran  Marzo 2005


         



  

mercoledì 4 settembre 2013

L'Indimostrabile Trascendenza Del Genio

Srinivasa Aiyangar Ramanujan 
Perché la nostra società così avanzata nelle scienze e nelle tecnologie non è in grado di dare maggior risalto e risonanza planetaria al genio? Perché la società commercializzata e consumistica non sa valorizzare anche economicamente il genio di molte persone dotate sicuramente di una capacità intellettuale superiore? Anzi, per paradosso, persone normalmente intelligente (ma spesso ignoranti) riescono a trasformare il prodotto della genialità altrui in usi commerciali ad alta redditività propria senza che il soggetto che le ha pensate, formulate e dimostrate ne tragga alcun vantaggio. Il modello di comunicazione dei media come TV, giornali, radio, internet, ma anche il medesimo apparato educativo risalta più l'apparenza che la sostanza. Si premia di più l'uso commerciale delle idee che i soggetti che hanno elaborato le applicazioni che poi hanno permesso di raggiungere tali successi. A volte si ha l'impressione che l'arte, avulsa dalla scienza, sia la materia alla quale l'uomo debba riconoscere il massimo della valenza monetaria. Attori, pittori, registi, stilisti, scrittori (spesso non molto intelligenti), presentatori, dj, cantanti, ballerini, cabarettisti e altri ancora, guadagnano una montagna di soldi come prodotto di uno star system che concentra tutto il suo potenziale economico sulla "mercanzia" di queste categorie di persone. Qualcuno mi dirà: "E' la legge dell'economia capitalistica, bellezza". Sicuro e incontrovertibile, ma se qualcuno andasse ad approfondire che valore esprimono gli scienziati ricercatore che enunciano nuove scoperte scientifiche nei campi delle scienze matematiche, fisiche, chimiche, biologiche, mediche, ingegneristiche, astronomiche ecc., proverebbe una grande delusione dal punto di vista economico personale in relazione al dispendio di energie e di fatiche che i soggetti in questione hanno profuso per il raggiungimento delle loro scoperte. Un senso di giustizia sociale dovrebbe permettere ad ogni scienziato di applicare una royalty ogni qualvolta una sua scoperta viene applicate nel mondo civile. Invece il massimo riconoscimento scientifico è dato dal premio Nobel (una tantum) che certo lascia insoddisfatto chi poi ha contribuito lo stesso al raggiungimento di importanti scoperte scientifiche e tecnologiche ma senza alcun tangibile riconoscimento.
Bisognerebbe però apportare anche una sostanziale modifica al nostro sistema educativo per poter rappresentare ed esaltare con maggior forza le vere "Stars" della nostra società civile: i ricercatori e gli scienziati. Tale risultato si ottiene però con scelte politiche che valorizzino lo studio delle scienze anche con una diversa ridistribuzione dei redditi. Si deve evidenziare quale importanza hanno nella storia dell'uomo le scoperte scientifiche che hanno permesso la sconfitta di numerose malattie, la conquista dello spazio, la sicurezza nel lavoro, l'utilizzo dell'energia, la velocizzazione dei trasporti e tutto il progresso tecnologico e scientifico in senso lato.
La foto sopra ritrae un famoso genio matematico indiano tamil morto a solo 33 anni (età fatidica!) negli anni venti del secolo scorso. Ramanujan è, secondo alcuni, il più misterioso e acuto genio che le scienze matematiche abbiano forse mai prodotto finora. Si è dubitato sul metodo da lui seguito adottato per le sue geniali formulazioni matematiche che lasciarono stupiti molti matematici occidentali del suo tempo. Ha lasciato parte consistente dei suoi studi su tre quaderni utilizzando un metodo non sempre organizzato e senza le dimostrazioni dei risultati raggiunti. Questo ha dato adito ai suoi critici per dedurre che forse non era in grado nemmeno lui di dimostrare ciò che aveva formulato. Se anche ciò fosse, rimane il fatto che Ramanujan ha formulato teoremi e scoperte sulla proprietà, sulle funzioni e sulle serie dei numeri ottenendo importanti risultanti anche nello studio dei numeri primi. Questo ragazzo, genio mistico orientale, è stato un anello fondamentale per le applicazioni della matematica moderna. A questo punto, al nostro prototipo di "homo pecunie" sorge subito una domanda: "quanti soldi ha fatto con le sue scoperte?". Niente: è morto giovane e quasi in miseria. Ci vorrebbe un poderoso testo con annesse formule per spiegare al nostro "homo pecunie" che i risultati raggiunti dal genio indiano sono all'interno di un'infinità di applicazioni che lui utilizza tutti i giorni per fare soldi, ma già alle prime righe di spiegazione egli sarebbe incapace di comprenderne una benché minima parte. Nulla di personale. Forse la stragrande maggioranza delle persone non sarebbero in grado di capire la valenza di tali teoremi e formule, ma sono sicuramente in grado di capirne la portata. Vorrei un mondo con meno pupi e ballerine e più Ramanujan da ammirare ed applaudire.

lunedì 2 settembre 2013

Natura Dello Spirito

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/e6/Bernard_of_Clairvaux_-_Gutenburg_-_13206.jpg
San Bernardo di Chiaravalle
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/8/88/Baruch_de_Spinoza_cover_portrait.jpg
Baruc Spinoza
« Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà. » 
Sembrerebbe una frase pronunciata da Spinoza nella cui filosofia di "conoscenza intuitiva", definisce "Deus Sive Natura", Dio cioè la Natura. Massimo esponente del pensiero religioso immanente e sintesi filosofico-teologica tra scienza e spiritualità divina. Invece no. E' un'affermazione di San Bernardo di Chiaravalle, monaco francese domenicano. Eppure due pensatori così filosoficamente lontani, esponenti di culture completamente diverse, lontani anche anagraficamente, si appellano alla natura che ci circonda per definire l'essenza dello spirito divino. Certo è che l'appello parte da presupposti completamente diversi ed arriva anche a conclusioni completamente diverse, ma la realtà che ci avviluppa e della quale siamo parte integrante ed interagente rimane un punto di riferimento anche per i teologi ed i filosofi. Sembrerebbe quasi che, ognuno per avvallare il proprio credo, il riferimento alla natura sia qualcosa di talmente forte e tangibile da poter essere utilizzato come un passepartout valido per ogni tipo di pensiero. Lo stesso cattolico santo dei santi, San Francesco d'Assisi, nel suo "Cantico delle Creature", tesse le lodi di Dio per il dono del creato. Ma anche in altre religioni la natura appare la massima espressione divina, parafrasi delle filosofie religiose che esprimono, spesso,  teologie complesse e di difficile comprensione. La natura, quindi, diventa il riferimento, la cartina di tornasole, che esprime le diverse tesi filosofiche sulle quali si basano le principali religioni. Rimane perciò un punto fermo per ogni approccio al pensiero divino: più lo studio scientifico della natura ci fa capire chi e dove siamo, maggiore è la probabilità di comprendere la Natura dello Spirito.

giovedì 1 agosto 2013

Falso In Costituzione

Kurt Godel, di cui la foto a fianco, oltre ad essere stato uno dei più famosi logici di ogni tempo, padre delle teorie di incompletezza e di inconsistenza nonché formulatore della teoria della prova ontologica dell'esistenza di Dio, quando si sottopose nel 1948 all'esame della speciale commissione per diventare cittadino degli USA, fece tremare di paura gli amici Einstein e Morgenstern, perché affermò, durante il tragitto che li portava verso la commissione esaminatrice, che la costituzione USA presentava delle palesi contraddizioni logiche secondo le quali gli Stati Uniti rischiavano di poter diventare una dittatura. Gli amici si premunirono raccomandandosi animatamente di non sollevare alcuna di queste osservazioni alla commissione, pena l'esclusione della cittadinanza. L'esame andò bene e quando, cocciutamente, il nostro Kurt accennò alle contraddizioni, la commissione gli fece un  bel sorriso e troncò all'istante ogni altra discussione assegnando la cittadinanza al logico moravo. 
Questo episodio mi ha fatto riflettere sulle differenze formali, che possono portare a opposte soluzioni sostanziali,  con cui sono declinate le formule linguistiche applicate alle varie attività dell'uomo. Anche se non conosco le osservazioni di Godel relative alle contraddizioni sulla costituzione USA, posso immaginare che, dal punto di vista logico formale, tali contraddizioni erano effettivamente presenti. La mia riflessione riguarda appunto il linguaggio formale utilizzato dalla lingua in cui si esprimono i concetti logici di una proposizione e le sue applicazioni nella varie discipline umane. Il sistema giuridico, in genere, può prestare facilmente il fianco a contraddizioni logico-linguistiche, soprattutto perché esiste un soggetto che formula e struttura le leggi (il legislatore), chi poi queste leggi le deve applicare (il governo), chi le deve interpretare e far rispettare (il sistema giudiziario) ed infine chi poi a tali leggi si deve attenere osservadone la corretta interpretazione (tutti i componenti di una società su cui tali leggi ricadono). Allora? Prendiamo la nostra Costituzione Italiana. Siamo sicuri che, dal punto di vista linguistico, sia perfettamente chiara e che non presenti palesi contraddizioni? Partiamo dai principi fondamentali e dal citatissimo articolo 1, primo comma: "L'Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro". Fondata sul lavoro? E se il lavoro non c'è, decade il fondamento della repubblica? Attualissima visione dell'economia di oggi. In certe regioni italiane il 50% dei giovani non ha lavoro. Se in un futuro nerissimo la maggioranza della popolazione non avesse più lavoro, la repubblica su che cosa si fonderebbe? Sulla disoccupazione? Qualcuno potrebbe opporre che queste osservazioni sono questioni di lana caprina. Tutto riducibile, quindi, a sottigliezze sofistiche e quindi prive di valore. Sicuri?  Mica tanto. Se in un linguaggio formale in cui la convenzione formulata ed accettata dal sistema attribuisce un significato di valore semantico alla sintassi applicata, si avrà una univocità logica di deduzione, altrimenti si cade in contraddizione o, peggio, in ambiguità. Suggerirei come abbozzo una diversa formulazione dell'articolo in oggetto sicuramente migliorabile: "L'Italia é una repubblica democratica che ha come principale scopo quello di promuovere e diffondere il lavoro sotto ogni aspetto ed in ogni comparto, secondo le leggi vigenti e nel rispetto dei diritti di ogni essere vivente." Quindi viene rimosso il concetto di "fondamento", quando il fondamento potrebbe mancare del suo oggetto principale, cioè il lavoro. Altro esempio senza andare molto oltre. Articolo 3: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". I cittadini? Ma quanti non hanno cittadinanza in questo paese? Un milione? Due milioni? Ciò significa, testualmente, che chi risiede e lavora in questo paese producendo reddito e pagando le tasse ma non ha la cittadinanza italiana è privo di dignità sociale,  non é uguale davanti alla legge e si dovrà distinguere per sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali. Si potrebbe proseguire in questo modo analizzando linguisticamente anche altri articoli palesemente contradditori perché non più adeguati alle situazioni sociali contingenti attuali, ma questo, almeno per me, può bastare visto che si tratta dei primi articoli che si richiamano ai principi fondamentali della costituzione. Morale? La lingua non è cosa da applicare con leggerezza e, soprattutto, senza portare nel tempo i dovuti aggiornamenti non solo al profilo giuridico ed etico dei principi costituzionali, ma anche, e forse a maggiore ragione, prestando più attenzione all'utilizzo di un linguaggio appropriato ed aggiornato alla realtà in cui una nazione vive e si confronta.

venerdì 28 giugno 2013

Loxé Fàlanx

         La  storia è una scienza umana che merita il massimo rispetto. Difficili sono le ricerche di reperti da parte degli archeologi che sappiano dare delle risposte esaustive agli accadimenti del passato. Le fonti scritte, seppur molto preziose, a volte presentano lacune prodotte dagli autori dettate sia dalla conoscenza parziale dei fatti sia dalle intenzioni da parte di chi scrive e racconta i fatti accaduti, soprattutto se il narratore è contemporaneo ai fatti descritti e, come spesso accade, una delle parti in causa. Ciò nonostante, la scienza della storia umana ha affinato tecniche interpretative sia per le fonti scritte sia per reperti archeologici rinvenuti, anche grazie alle moderne tecnologie. Tralasciando in questo post la scienza  archeologica con le raffinate tecniche di studio, ci concentriamo solo sulle fonti scritte. Il confronto e l'incrocio di più fonti scritte, quando ne esistano più di una,  é spesso una tecnica efficace per una corretta interpretazione dei fatti storici accaduti. Purtroppo non sempre si possiedono fonti storiche multiple riguardanti uno stesso accadimento storico e questo complica un po' la vita agli ermeneutici i quali si devono affidare a fatti contigui o ad episodi collegati raccontati da altre fonti storiche. Si va, quindi, per deduzione logico-temporale confrontando accadimenti riguardanti il medesimo contesto storico. Fin qui nulla da eccepire in merito ai ricercatori. La cosa invece assai fastidiosa è che in molti casi chi poi deve descrivere i fatti storici a scopo educativo prendendo spunto da studi fatti da altri esperti, molto spesso applica delle distorsioni o, peggio, delle reticenze. Un esempio? Ne cito uno, ma se ne potrebbero elencare molti altri. La conoscenza approfondita di questo racconto risale a non molti anni fa, mentre del trattato storico con le rispettive reticenze ne venni a conoscenza sul banco di scuola media. Il capitolo riguarda l'egemonia della polis greca Tebe con i suoi famosi esponenti: Epaminonda e Pelopida. La reticenza non riguarda loro, ma la mitica falange obliqua (Loxé Fàlanx) con cui venne disposto l'esercito tebano che fu vincente in più occasioni permettendo un'egemonia della città greca per oltre trent'anni. La storia ci venne raccontata con doviziosi particolari riguardanti la disposizione rivoluzionaria della falange voluta dal mitico comandante Epaminonda (anche se Plutarco racconta che l'invenzione fu del suo amico beotarca Gorgida) che sconfisse clamorosamente il più forte esercito allora conosciuto: lo spartano. Non fu però mai citato in quel lontano frangente, sia dal libro sia dal professore, che l'elite dell'esercito tebano era composto da un battaglione di 300 uomini, detto sacro (hieròs lókhos), formato da 150 coppie di opliti omosessuali. Ora, se si vuole portare un ottimo argomento alle ingiustizie, alle persecuzioni ed ai soprusi subiti nei secoli successivi dagli omosessuali, tutti dovrebbero conoscere questo pezzo di storia che rende giustizia ai luoghi comuni della disinformazione di massa. Questi signori, opliti omosessuali, erano particolarmente legati ognuno al proprio compagno da un sentimento profondo di amore. Questo legame permetteva di proteggersi l'un l'altro nelle mischie furibonde delle battaglie antiche. La presenza di un pericolo costante che poteva causare la possibile perdita del compagno, induceva ognuno a dare il meglio di sé. In poche parole: menavano alla grande! Erano talmente forti che rimasero imbattuti fino alla grande battaglia di Cheronea nella quale i Tebani furono sconfitti dai Macedoni di Filippo e dal figlio di costui, il mitico Alessandro Magno, facendosi massacrare ma non arrendendosi. L'episodio suscitò l'ammirazione ed anche il dolore del re macedone Filippo il quale, come scrive Plutarco, disse: « Possan di mala morte morire quelli, i quali han sospetto che facessero o patisser questi alcuna disonestà ». Nel periodo di tempo che va dal 374 a.c. al 338 a.c. la compagine tebana con il battagliane sacro sconfisse i più potenti eserciti di allora tra cui i feroci e temibili macho Spartiati. Ho citato questo esempio per indurre chi voglia approfondire gli accadimenti a lui più congeniali della storia, di qualunque epoca si tratti, a non apprendere da una sola fonte, magari riportata da uno storico prevenuto come sopra descritto, ma di approfondire consultando diverse fonti e acquisendo il maggior numero di informazioni possibili. Se esistono storici o testimoni che hanno narrato la loro storia contemporeanea, bisogna accedere ai loro documenti scritti. Solo così si potrà avere una corretta (anche se spesso incompleta) opinione sui fatti realmente accaduti e sugli attori che vi hanno preso parte. 
Per onore della cronaca informo il lettore che io sono eterosessuale, ma ho sempre trovato ingiusto ed iniquo offendere, ghettizzare, perseguitare ed emarginare una persona solo per la sua sessualità. Chi crede che omosessualità significhi essere "diversi" o, peggio, "deviati" si rilegga questa pagina di storia ed apprenda che nel mondo greco, che è stata la culla della nostra civiltà, essa venne persino venerata e definita, in questo contesto, "sacra".

mercoledì 26 giugno 2013

L'Ipotesi


Ci siamo mai chiesti quale sarebbe la nostra reazione se scoprissimo che ognuno di noi non è effettivamente chi credeva di essere? Esiste un modo per conoscere la legge universale che regola il cosmo senza doverlo esplorare? Riusciremo a scoprire ciò che è fondamento chiaro e ineccepibile di tutto il nostro mondo fisico e metafisico logicamente dimostrabile? Possiamo utilizzare un unico linguaggio concepibile in ogni angolo dell'universo visibile? Enunceremo una formula, partendo da un assioma che assumeremo come principio vero, per dimostrare scientificamente una teoria che definisca esattamente l'emozione provocata dell'irrazionalità dei sentimenti? Ecco, l'Echidna racconta il tentativo di dare a queste domande delle plausibili risposte descrivendo, in modo fantascientifico, un viaggio immaginifico all'interno della nostra mente dove le emozioni trovano le loro origini e ipotizzando una dimostrazione matematica verificata con i rigidi canoni della logica dove il prodotto dei nostri sentimenti diventa un solido teorema. Senza lesinare con la fantasia.

lunedì 24 giugno 2013

Come Si Era, Mai Più Sarà

Non siamo come eravamo, ma saremo per sempre ciò che siamo stati. 

Prima dell'era digitale il solo modo per ricordare i compagni di scuola era di rivederli nelle vecchie foto di gruppo con annesso insegnante. Non moltissimi anni fa le fotocamere con pellicola analogica in bianco e nero erano possedute da pochi e le fotografie, una volta stampate, venivano spesso dimenticate o smarrite. Alcuni compagni di quei tempi lontani ebbero quindi la fortuna di possedere una copia della foto di gruppo della propria scolaresca e di avere l'accortezza o la fortuna di preservarle nel tempo. Oggi la tecnologia digitale e la comunicazione telematica hanno rilegato nell'era archeozoica le immagine sfocate delle foto risalenti alla prima metà del secolo scorso. Eppure la stampa cartacea, nonostante la bassa tecnologia impiegata, è riuscita a dare un buon servizio alla memoria del nostro passato adolescenziale. Bisogna comunque riconoscere che la digitalizzazione della immagini ha permesso, in molti casi, di salvare reperti fotografici che sarebbero andati inesorabilmente perduti se non fossero stati memorizzati negli archivi magnetici di qualche volenteroso ed appassionato archivista. La foto riportata in questo post ritrae una classe elementare dell'anno scolastico1917-1918, con al centro il maestro che nella fattispecie trattasi di mio bisnonno, scattata nel cortile della scuola di campagna dove egli insegnava. Nonostante che la maggioranza degli alunni ritratti nella foto venisse da famiglie di estrazione contadina e che a non molti chilometri dal paesello in oggetto infuriasse l'inferno della prima guerra mondiale con la sua ecatombe di sangue, ogni bambino appare vestito in modo decoroso. In quegli anni, e per molti anni a seguire, tante famiglie soffrivano i  morsi della fame e i decessi infantili erano numerosi. La vita era quindi molto dura per tutti, ma esisteva una forma di solidarietà paesana e un rapporto di relazione semplice ed aperto con gli altri che portava, nonostante le ristrettezze della povertà, ad una serenità d'animo di cui sono stati validi testimoni i miei nonni. Mi sono stati raccontati in diverse occasioni molti episodi di vita quotidiana vissuta in quegli anni e in ognuno di loro traspariva la semplicità e la serenità dell'animo. Ciò non toglie che oggi abbiamo la fortuna di vivere in un mondo migliore in cui la fame e molte malattie mortali sono state debellate, anche se permangono scandalosamente in gran parte dei paesi del terzo mondo. Il modo di vivere dell'era contemporanea è completamente cambiato rispetto ad un passato tutto sommato nemmeno troppo lontano e rivedendo le immagini e ascoltando i racconti di quegli anni lontani, ci sembra impossibile che il progresso ci abbia permesso di vivere in un mondo così tecnonologicamente avanzato e diverso. Rimane però un dubbio profondo dentro ognuno di noi di chi, avendone l'età,  ha potuto assaporate, anche se in modo marginale, un piccolo pezzo di quel mondo perduto: la serenità d'animo e la semplicità nei rapporti umani. Credo fermamente che negli anni a venire questo sia il tema fondamentale della nostra società avanzata: recuperare certi valori che si sono smarriti in un contesto di tumultuoso sviluppo economico e scientifico. Non si può certo avere nostalgia per quei tempi andati in cui i bisogni primari erano la nutrizione, risollevarsi dalla cronica povertà e sopravvivere alle molte malattie spesso mortali (oggi quasi completamente debellate), ma si deve riuscire a recuperare ciò che di buono i nostri avi ci anno tramandato nonostante le difficoltà oggettive in cui hanno vissuto: i semplici e genuini rapporti umani di una società solidale con gli altri e il recupero di una mutualità economica e finanziaria dettata dalle scarse risorse allora disponibili, oggi smarrita.

Non saremo come siamo, ma torneremo per sempre come siamo stati.

giovedì 20 giugno 2013

Epicuro, Dove Sei?

Immagine 17 Storia 
La filosofia epicurea  fu elaborata nel IV secolo A.C. e si diffuse in modo capillare a partire dal vicino oriente, ove il grande filosofo era nato, fino a tutto il mondo occidentale. Riscosse un notevole successo di adesione nella repubblica di Roma anche per merito di Tito Lucrezio (con il trattato poetico "De Rerum Natura") e ancor di più nel periodo imperiale per raggiungere l'apogeo di conoscenza tra il I ed il II secolo D.C.. Successivamente, soprattutto a causa della diffusione del cristianesimo che fondava le sue radici nello stoicismo, storica scuola avversa alla filosofia epicurea, conobbe un declino inesorabile fino al quasi totale annientamento per opera, in modo prevalente, della filosofia scolastica e della dottrina del cristianesimo. Ma perché, mi sono chiesto, l'epicureismo fu avversato dai filosofi e teologi cristiani in modo così radicale e quasi ossessivo? Quale ragione spinse un così nutrito numero di seguaci di Cristo a marginalizzare ed esorcizzare una filosofia che, dopo tutto, metteva in primo piano la pace delle emozioni, la parsimonia dei sensi, la misura nel comportamento umano, l'amicizia come elemento fondante della socializzazione e della solidarietà? La prima risposta immediata che nasce da queste domande è che Epicuro considerava la Divinità, intesa come coacervo degli dei, come non presenti nella vita terrena degli uomini. Pensava  il divino come elemento a se stante, non influente nella vita terrena di tutti i giorni, lontano e disinteressato dalle umane faccende. Questo, pensavo, era il fattore fondante per cui i teologi cristiani aborrivano tale filosofia considerata, alla luce della dottrina di Cristo, come abominevole. Sennonché leggendo un saggio, ho appreso in realtà che Epicuro considerava l'uomo attore principale delle proprie azioni proprio perché non esisteva, secondo lui, nessuna possibilità di intervento divino. L'uomo, dunque, al centro del proprio destino terreno nella cui vita doveva trovare le ragioni della propria esistenza, orfano di qualsiasi paternità spirituale superiore la quale non voleva (o non poteva?) ordinare, controllare, premiare o punire nessun essere umano. Con questo veniva negata anche ogni necessità di rappresentanti in terra della divinità  per ordine e conto della quale essi si attribuivano potere di intermediazione spirituale e temporale sull'uomo stesso, sul suo comportamento e sulle sue opinioni. A ben vedere, le regole della filosofia epicurea sul comportamento umano durante la vita terrena si avvicinano al cristianesimo molto di più di altre filosofie dalle quali essa trae fondamento per la sua teologia. La mitezza e la modigerazione, alla base dell'idea che regola la vita umana per Epicuro, accompagnate dall'amicizia e dalla solidarietà, sono solo elementi marginali agli occhi dei filosofi e teologici cristiani. Dio e Cristo sono presenti ovunque, onnipotenti, onniscienti. Nulla accade sulla terra che Dio non voglia, libero arbitrio compreso, ovviamente. Ma il punto centrale del dissidio non è il posto o l'operato diretto della divinità nelle umane azioni, ma di chi in questa vita terrena ne interpreta la volontà e si propone come unico  interlocutore e difensore della sua dottrina.
La modernità e la diffusione delle conoscenze scientifiche hanno portato ad una rivalutazione in chiave terrena della filosofia epicurea. Si denota, per chi l'abbia un po' approfondita, che a prescindere dal proprio credo e della propria fede religiosa, nella vita di oggi in cui l'individualismo e l'egoismo imperversano in modo così radicale nonostante i dettami di tante teologie diverse, l'amicizia, la moderazione, la sobrietà e la solidarietà potranno essere veramente, dal punto di vista puramente umano, i sentimenti che potrebbero cambiare in modo significativo questo nostro mondo così complesso, ambiguo e, spesso,  profondamente ingiusto.
Ultimo quesito. Se esiste una vita ultraterrena intesa secondo il credo delle religioni monoteiste, Epicuro è all'inferno o in paradiso? Come credente in una fede mi asterrei dall'azzardare una qualsiasi risposta.

mercoledì 5 giugno 2013

The Promised Paradise


  
What do you want from life? - I said to myself
Want to be happy? - Hope or illusion
Your mind is rife of ghosts- Lies and confusion
Time is sticky  - Grim and dim
Life passes quickly - Short and meaningless
Death comes fast - Sudden and ruthless
Where is paradise? - I ask myself
Close to the ground and to the left of hell - I was answered



lunedì 3 giugno 2013

Boss On The Road

Il fantasma di Tom, The ghost of Tom Joad, sei tu vecchio amico di strada. Born to run, come i vagabondi della beat generation. Non il viaggiare per viaggiare, ma sulla strada per arrivare, Thunder Road, ad afferrare i sogni della gente comune. La fuga nella libertà della notte, Night, allontana i tormenti del giorno. L'inno per l'amore impossibile, She's The One, e le allucinazioni delle band di strada arroventano la notte nella Jungleland. Mentre il sogno della vita corre dentro un'auto pirata e qualcuno te lo vuole strappare, Something in The Night, ti ritrovi fuggitivo ma ancora vivo. Hai giocato con gli ambigui sentimenti di amicizia e amore, Backstreets, con la spaventosa miseria dei ghetti, Badlands, con la forza dei legami che uniscono come lacci che legano, The Ties That Bind, ma mi hai insegnato che due cuori sono meglio di uno, Two Hearts. Nella solitudine del veterano affiora la miseria della guerra urlando disperatamente la nascita nella tua terra, Born in U.S.A., e la morte riecheggia nella danza del buio, Dancing in The Dark, mentre il bambino diventa adulto nel ricordo dell'unione e cammina come un uomo sulle orme dell'amore, Walk Like Man. Hai cacciato la tristezza di una giornata di pioggia senza nuvole aspettando che venga una giornata di sole, Waitin' On A Sunny Day, hai sussurrato la spiritualità nella forza della risalita, The Rising, e hai preteso subito la giusta paga per un duro lavoro, Pay Me My Money Down. Hai raccontato il ritorno verso casa nei ricordi delle persone del tuo passato, Long Walk Home, hai suonato il lamento del forzato, Shackled and Drawn. Sei un uomo tuttofare, vecchio e nuovo da aggiustare, Jack of All Trades, denunciando chi la morte porterà dentro il cuore della tua città, Death to my Hometown. L'aiuto in amore che hai richiesto con il pudore della tua fragilità, This Depression, ti riscatta nell'orgoglio che demolisce ogni velleità, Wrecking Ball.

Hello Bruce,
tutto questo hai  suonato, cantato e ballato in quell'uggiosa notte dell'estate che non volle arrivare.

lunedì 20 maggio 2013

Muppets Show Theme


               

Briacabanda feat Luca Casadei Band


Muppets song - very good

Marcia Funebre per una Marionetta (Charles Gounod 1818-1893)

    





http://www.youtube.com/watch?v=bHSUbsgweEA

Lugano's Mandolin Orchestra - Ticino (Svizzera) - arrangiamento di Rodolfo Borsani.

Perfetta ed esilarante. Tutti bravi.

Il Mito dell'Auto Italiana

                            File:Logo della Volkswagen.svg     
Immagine 14 Automobili


Quando presi la patente io, un po' di anni fa, il marchio dell'automobile più venduto in Italia era Fiat. La casa automobilistica sembrava l'emblema della nostra industria, non solo meccanica, ma l'"Impresa" per antonomasia. Le auto di grossa cilindrata erano rare e, già a quei tempi, non tutte italiane. Per le auto considerate di lusso tra i marchi italiani, non ancora accorpati nel gruppo Fiat, si distingueva il marchio Lancia. Oggi il gruppo Fiat rimane in testa tra le auto più vendute in Italia con una percentuale totale di vendita, assommando i vari marchi, che si attesta a quasi il 65% per l'anno 2012. Il gruppo Volkswagen, storico antagonista, si attesta intorno al 14%. Vista così la situazione non sembrerebbe poi male. Ma è sui grandi numeri che il marchio Fiat praticamene sparisce. Mi riferisco al mercato europeo nel quale tra i primi 10 posti nessun marchio del gruppo Fiat appare in classifica, mentre il gruppo tedesco è padrone assoluto. Se in Italia la Fiat può vantarsi ancora di primeggiare, in Europa, rispetto alle altre case automobilistiche, il gruppo arranca visibilmente. E' un momento difficile per tutti, vista la profonda e prolungata crisi economica, e non bisogna scordarsi che a metà del decennio scorso la Fiat ha rischiato di fallire o, nella migliore delle ipotesi, di essere assorbita da qualche altro gruppo automobilistico. Stranamente si è salvata, al contrario di altre aziende, grazie ad una operazione finanziaria di Put (diritto a vendere) che la Fiat si era riservata negli accordi che aveva fatto a suo tempo con la General Motors. Successivamente l'avvento di Luca di Montezemolo, che ha chiamato come Amministratore Delegato Marchionne, ha risollevato le sorti, ma oggi lo scenario è completamente cambiato. Marchionne ha acquistato la Chrysler e il mercato di rifermento è diventato quello statunitense. Si è poi innescato un meccanismo di sfiducia tra la governance e la forza lavoro con scontri molto duri soprattutto tra una parte (minoritaria) del sindacato e l'amministratore delegato. Insomma, nonostante gli annunci di rilancio, la ristrutturazione aziendale e il referendum tra i lavoratori per accettare le richieste dell'azionariato, la Fiat permane in uno stato di crisi. Così, sembra, amministratore delegato ed azionisti vorrebbero portare la sede in America a Detroit per seguire  più da vicino l'azienda Chrysler e abbandonare al suo definitivo declino gli stabilimenti Fiat Italiani.
Senza entrare nel merito delle responsabilità e delle ragioni che sicuramente esistono da entrambe le parti, azionisti rappresentati dall'amministratore delegato da una parte e forza lavoro rappresentata dai sindacati dal'altra, si potrebbe fare una proposta molto provocatoria, ma che ha, forse, qualche fondamento.
La forza della Fiat è sicuramente rappresentata dai modelli di utilitaria e comunque di segmento A e B. Su tale comparto l'azienda ha una lunga esperienza ed è indubbio che modelli come Panda, Punto e Nuova 500 sono sicuramente auto di riferimento nel loro segmento di mercato.
Perché allora non proporre una vendita di questo core business alla più potente casa automibilistica europea, cioè alla Volkswagen? Riuscendo ad intercettare un prezzo equo e salvaguardando, con nuovi investimenti, gli attuali posti di lavoro, si potrebbero risolvere i problemi che attanagliano l'intero gruppo.
Ci sono, ovviamente, alcune considerazione da fare. La prima sarebbe estendere il modello di govenance della casa tedesca anche agli stabilimenti italiani. Il sindacato dovrebbe perciò adeguarsi al modello di quello tedesco altrimenti si perderebbero i notevoli vantaggi che tale modello sta esprimendo a livello di produzione e competitività della casa tedesca. I lavoratori e i sindacati assieme dovrebbero accettare in toto il sistema tedesco di partecipazione e responsabilità nella produzione delle auto, adeguandosi alle produzioni che la Volkswagen esprime con i marchi acquisiti in altri paesi come, ad esempio, la Seat spagnola e la Skoda della repubblica Ceca. Si manterrebbe il marchio Fiat, applicando il modello tedesco di produzione e commercializzazione. Gli attuali azionisti uscirebbero di scena trasferendosi in America e investendo il denaro percepito dalla vendita negli stabilimenti americani del marchio Chrysler e concentrando perciò il loro core business solamente in un continente ed in segmenti di mercato diversi.
Utopia? Può darsi. Questo lungo braccio di ferro, che dura da troppo tempo tra lavoratori e governance, ha prodotto solo divergenze ed incomprensioni. L'amminsitratore delegato ha dimostrato di avere una visione anglo americana del capitalismo (senza giudizio nel merito), mentre il sindacato si è dimostrato forse inadeguato per le nuove sfide dei mercati mondiali rimanendo fermo su schemi di partecipazione al lavoro ormai obsoleti e superati. Probabilmente sono in grossolano errore, ma sono convinto che se si facesse un referendum tra tutti i lavoratori del gruppo Fiat chiedendo se volessero aderire al gruppo Volkswagen, accettandone le regole di produzione ed il rischio annesso, la grande maggioranza sarebbe d'accordo di poter lavorare per il gruppo tedesco. Questo rimane, ovviamente, solo un esercizio teorico di economia che è difficile, se non impossibile, da realizzare. Troppo diverso il modo di concepire capitale e lavoro nel nostro paese che impedisce, di fatto, di riscrivere un nuovo patto sociale nel quale ognuno si prenda le proprie responsabilità ed i propri eventuali meriti o sconfitte.