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martedì 20 gennaio 2015

Care Vecchie Strisce



Delle riminescenze scolastiche la cosa che più ricordo con simpatia sono i diari. Il diario Vitt, il diario BC (ominidi dell'età della pietra "Before Christy") e le strips di Charlie Brown. Diceva un mio compagno di classe: "le strisce dei miei diari mi danno più lezioni di vita rispetto a tutti i libri scolastici che mi porto appresso". L'ironia surrealista delle strisce scaturite dal genio di Jacovitti rappresenta, a mio avviso, una sorta di analisi sociologica che descrive il tipico carattere italiano. Cocco Bill, pistolero ciabattone e confusionario, si muove all'interno di improbabili scenari tra salami sorridenti, vermi pensanti, ragni sospettosi e, in groppa al suo cavallo un po' filosofo ed un po' cialtrone,  risolve in modo cruento le varie situazioni in cui si rende protagonista. BC rappresenta invece uno spaccato della società preistorica che ammicca a quella americana progressista di cui fa parte il suo autore. Nel prefigurare un futuro incerto, il cavernicolo si impegna in opere inconcludenti, con l'ironia e anche un po' di scarcasmo di chi, in fondo, ha poco da perdere. Per finire poi con il puro genio poetico di Charles Shulz e le sue Peanuts, noccioline di filosofia, di saggezza, di argutezza, di ironia, di logica, di sociologia e anche, inesorabilmente, di cattiveria e che ha messo in strips tutte le paranoie dell'uomo moderno utilizzando la finta innocenza dei bambini che spesso sanno essere più spietati e diretti rispetto agli adulti. Ebbene sì, rimpiango quei momenti di serena lettura in cui condividere con gli amici le gags delle care vecchie strisce. A volte mi sento come il "vetusto" Charlie Brown che con le sue problematiche esistenziali ha fatto crescere milioni di persone e mi appello al suo buon senso ed alla sua malinconia condividendo questa sua azzeccata affermazione:


 immagine tratta da oradireli.com

mercoledì 14 gennaio 2015

Anime Salve

Tadamichi Kuribayashi  栗林忠道





Gli eroi non si fanno illusioni. 
Settanta anni fa, tra il febbraio ed il marzo 1945, si consumava nel pacifico l'ennesima sanguinosa battaglia tra le forze armate dell'Impero del Sole e quelle gli Stati Uniti d'America. Se "Raising the flag on Iwo Jima" rappresenta ancora oggi per gli Usa l'emblema eroico di quella battaglia in cui sei marines innalzarano la Stars and Strips sulla cima del Suribachi appena conquistato, dalla parte giapponese il simbolo di quella battaglia resterà per sempre il comandante giapponese Kuribayashi. Nonostante la discendenza da una famiglia militare di samurai, Tadamichi era un uomo sensibile e colto. Portato per la scrittura e la letteratura, si era ritrovato quasi inconsapevolmente all'interno di una brillante carriera militare. Sapeva benissimo che da quella maledetta isola di zolfo non sarebbe più tornato. L'impero del Ciapango sacrificava ad uno ad uno i suoi eroi in una carneficina senza fine. Eppure Kuribayashi sapeva che la fine sua e di molti suoi connazionali, nonché la totale sconfitta della guerra contro gli Usa, sarebbe ineluttabilmente avvenuta. Un uomo che non voleva fare la guerra soprattutto contro una nazione che conosceva benissimo. Un comandante che proibì, anche nel momento più buio ed infelice, gli attacchi suicidi "Banzai" da parte delle sue truppe e non solo per un motivo strategico, ma anche per una ragione di ordine logico ritenendo inutili gli attacchi suicidi in una situazione di netta inferiorità numerica e considerando il soldato non solo come una vittima sacrificale in onore dell'etica militaristica nipponica, ma una persona umana a cui sia data una possibilità, seppur remota, di sopravvivenza.
Che ci faceva dunque un uomo di tale levatura morale ed intellettuale in una guerra così cinica e brutale? Eppure la sua strategia riuscì ad imbrigliare il possente esercito americano per ben trentasei giorni prima di cadere sotto la soverchiante potenza bellica e numerica del nemico, ma infliggendole perdite pesantissime. Ciò non servì a salvare Iwo Jima dalla conquista e pochissimi soldati giapponesi si salvarono dalla carneficina, ma Kuribayashi dimostrò che in battaglia non serve l'esaltazione, il fanatismo e la superbia, ma l'uso della ragione diffondendo fiducia e usando umano rispetto nei confronti dei propri soldati. Il suo corpo non fu mai ritrovato e la versione più accreditata della storia racconta che, dopo essersi tolto i gradi di comandante, si immolò con i propri soldati nell'assalto finale del nemico. 
"E' triste cadere in battaglia" disse il generale nell'ultimo colloquio con il suo imperatore. 
Gli eroi non si fanno illusioni.

giovedì 8 gennaio 2015

Forever You'll Be Here

The cat "Poldo" - Foto by Eugenio Acran













My dear red cat

I tell you that

Wish you were still here

Nevermore you'll be near

the warmth of the fireplace

As tears wet my face

Goodby my dear

Forever you'll be here

 By Eugenio Acran - 2015 jan. 8

 

 

martedì 16 dicembre 2014

La Storia Dimenticata

 Marsilio da Padova - immagine tratta da http://s2.stliq.com/gtnew/bg/m/marsilio-da-padova.jpg

Marsilio da Padova, chi era costui? Se si procedesse ad un sondaggio tra le persone comuni di media cultura, quanti sarebbero in grado di rispondere? Risposta: pochi, quasi nessuno, solo gli addetti ai lavori. Marsilio Mainardini nasce a Padova verso la fine del 1200 da una famiglia di notai universitari. Agli inizi del '300, poco più che ventenne, si trasferisce alla Facoltà delle Arti di Parigi di cui diventerà rettore. Per arti si intendono quelle materie che derivano dalla filosofia naturale e cioè lo studio della natura, delle scienze e della matematica che sono considerate, all'epoca, le materie minori, mentre le facoltà maggiori sono quelle derivanti dallo studio metafisico della teologia e quelle  più lucrative di medicina e di giurisprudenza. Marsilio ha già studiato medicina e godrà di buona reputazione professionale anche presso l'imperatore di Germania. La facoltà delle arti, pur nelle sue numerose difficoltà economiche, rappresentava una fucina di idee ed era frequentata da gente giovane anche se la maggior parte non era benestante. Era una facoltà aperta in cui i giovani respiravano una libertà intellettuale che non era presente nelle altre facoltà universitarie.  Fin qui nulla di particolare, ma é il contesto storico in cui vive Marsilio che determinerà successivamente la sua fama e lo porterà ad essere uno dei maggiori autori della filosofia politica di tutti i tempi. Siamo nel periodo in cui la sede papale si é spostata da Roma ad Avignone e vengono eletti papi francesi. Lo spostamento é avvenuto dopo la morte del discusso papa Bonifacio VIII e in seguito allo scontro con il re di Francia Filippo il Bello. I papi francesi perseguono però la loro politica di supremazia spirituale (e temporale), pretesa  già da Bonifacio, nei confronti dell'imperatore di Germania Ludovico. Lo scontro é molto duro ed il mondo intellettuale e politico di allora si divide profondamente. Marsilio difende la supremazia e l'indipendenza dell'imperatore che gli costerà successivamente la scomunica papale in seguito al suo trattato scritto per confermare le sue idee : il Defensor Pacis, il Difensore dalla Pace. Ebbene questo trattato, a cui seguirà il Defensor Minor, é, a mio avviso, un'opera fondamentale che apre alla moderna concezione dello stato laico. Anticipando movimenti storici di natura filosofica e politica come l'umanesimo di Erasmo da Rotterdam e le filosofie illuministiche del '600 e '700, Marsilio tramite la sua opera getta le basi fondamentali dello stato moderno come noi lo intendiamo oggi. 
Tralasciando lo stile focoso e volutamente di parte, egli elenca i principi fondamentali a cui si deve attenere uno stato per essere giusto ed efficiente: 
a) la sua assoluta laicità;
b) l'idea che ogni individuo appartenente ad una comunità civile ha il diritto di vivere una vita "sufficiente" degna di essere vissuta e che prevede non solo una felicità metafisica  (in senso umano e immanente e non teologico e trascendente), ma anche il possesso di un minimo di beni materiali per vivere in modo dignitoso;
c) la supremazia e l'indipendenza della comunità laica e civile che é in grado di soddisfare al meglio i bisogni propri tramite la collegialità che delibera le leggi;
d) l'obbligo dell'osservanza coatta di tali leggi da parte dell'intera comunità (compresi i teologi ed i religiosi);
e) il mantenimento della pace civile che é elemento essenziale per rispettare i principi come sopra elencati;
f) solo la "Civitas" organizzata é in grado di legiferare super partes per il bene dell'intera comunità e non solo una parte faziosa di essa (la pretesa supremazia papale del suo tempo). 
Marsilio fa quindi una chiara e netta distinzione tra giustizia civile umana, che si persegue nell'arco della vita di ogni uomo, e la giustizia divina, che avverrà solo dopo la morte in una dimensione  spirituale ben diversa rispetto a quella umana.
Questi principi, sia chiaro, sono universali e sono validi per l'intera umanità senza distinzione di etnia, sesso, credo religioso e nel rispetto delle idee eticamente corrette di ogni singolo individuo, in ogni tempo e in qualsiasi luogo. Purtroppo questo pezzo di storia è quasi sconosciuto ai più e poco la scuola su tale argomento ci ha erudito.
Marsilio docet:  chapeau!


mercoledì 3 dicembre 2014

I Portatori Di Luce

Maxfield Parrish -The Lantern Bearers - 1908 - Crystal Bridges Museum of American Art



Si potrebbero trovare molte metafore per descrivere l'olio su tela di Maxfield Parrish qui riportato e molte, penso, calzerebbero "a pennello" (per restare in tema di pittura). Penso all'arte pittorica, pur non essendo un esperto, come ad una delle arti visive più stimolanti ed estensive dell'intimo immaginario. A volte ho la sensazione che i critici d'arte, pur nella loro encomiabile professione di divulgatori e giusti interpreti delle opere da loro analizzate, pongano limiti al libero arbitrio degli osservatori comuni. Non contaminazione interpretativa, intendiamoci, ma una dovuta riduzione pragmatica e "scientifica" dell'opera pittorica. Lasciando quindi i critici al loro qualificato lavoro, mi pongo spesso, davanti ad opere pittoriche che stimolano la mia fantasia, delle domande con la quali tento non tanto di dare una spiegazione alle emozioni ed alle intenzioni del loro autore, quanto di capire perché suscitino in me lo stimolo alla fantasia interpretativa. Il limite a questa operazione, non essendo un addetto ai lavori, é quello di capire la valenza tecnica dell'autore. Cioè, come diceva un mio caro amico molto più esperto di me, la differenza tra un'opera d'arte ed una spessa crosta di colore. 

Prendendo coscienza di questo mio indubbio limite tecnico, mi concentro quindi solo sulle mie personali sensazioni riducendo il tutto a recepire se il quadro mi piace o non mi piace e cioè se stimola il mio immaginario e mi produce piacevoli emozioni oppure no. Ebbene uno degli autori  le cui opere più mi colpiscono é appunto Parrish. I suoi quadri mi sembrano dipinti su ceramica smaltata che potrebbero essere collocati nelle pareti di palazzi reali di imperatori orientali. I vividi colori rappresentano quasi sempre momenti di intima meditazione o di pacato movimento in cui la staticità ha il sopravvento sulla dinamicità. Rappresentazioni esenti da paradossi stilistici ma, nello stesso tempo, allegoriche di intime situazioni emotive di chi le osserva. Del quadro in oggetto, i portatori di lanterne, mi colpiscono diverse cose. La prima é che tutti vestono uguali il costume di Pierrot, maschera che interpreta la risata malinconica del cuore, pagliaccio che affronta con astuta rassegnazione le avversità quotidiane di un mondo difficile, clown innamorato della luna di cui Parrish ne riporta la forma nelle lanterne e che loro si apprestano ad appendere all'albero della vita come luci opache all'imbrunire dell'esistenza. La seconda é la catena umana che si forma prendendo ognuno posizioni diverse per effettuare il passaggio delle lanterne da appendere. Questa catena assurge, a mio avviso, a simbolo della coesione sociale ed umana. La terza é come una sorta di silenzioso dialogo fatto di gesti e mimiche che indicano la comunicazione non verbale dei sentimenti umani nel collettivo sforzo di portare un po' di luce nell'imminente oscurità della vita.

Forse questa bizzarra interpretazione farà sorridere molte persone, soprattutto gli addetti ai lavori,  ma queste fantasie sono quelle che per me fanno la differenza tra autori che prediligo e autori che mi lasciano indifferente, indipendentemente dalle loro qualità tecnico-pittoriche.

Devastazioni Atmosferiche

Foto by Eugenio Acran Ottobre 2014




Foto relativa agli effetti devastanti della tromba d'aria che ha colpito il nostro territorio il 13 ottobre. Fenomeno già successo anche in passato, ma si rileva un aumento considerevole della potenza del vento e della massa d'acqua precipitata. Anomala anche la temperatura elevata per la stagione autunnale.

giovedì 20 novembre 2014

Oikos Nomos

Letteralmente tradotta in "regola familiare", ovvero l'Economia. Meglio, forse, "gestione delle risorse naturali".  Ma che cos'é veramente l'economia?  Il sostantivo é di solito seguito da un aggettivo che ne identifica il ruolo e il campo. Esempio: l'economia politica, l'economia monetaria, l'economia industriale, l'economia sociale, ecc. Sì, ma l'origine? Ed il fine? Si definisce spesso l'economia come una scienza inesatta perché soggetta a numerose variabili che spesso esulano dal campo scientifico come, ad esempio, comportamenti collettivi di natura psicologica o dettati dall'ambiente in cui si abita o determinati dalla cultura e dall'etica della società in cui si vive e lavora. L'illuminismo e le rivoluzioni industriali hanno determinato uno studio sistematico dei fenomeni economici con la nascita di teorie elaborate ed articolate da diverse scuole di pensiero spesso in contrapposizione tra loro. Alcune ideologie politiche hanno sperimentato forme di economia che si sono poi rivelate fallimentari. Allo stato attuale il capitalismo, nelle sue diverse forme e applicazioni, si considera il modello più sostenibile per creare un benessere il più diffuso possibile. Si accusano però diverse distorsioni di un sistema capitalistico mondiale nel quale la finanza ha già forse preso il sopravvento su quella che viene definita economia reale. Ma cosa si intende in concreto per economia reale? Sintetizzando al massimo: la produzione di beni e servizi. Nell'economia reale le fasi di intermediazione avvengono per mezzo della moneta e più in concreto dalle transazioni finanziarie. Altra domanda: che differenza esiste tra moneta e finanza? Semplificando ancora al massimo: la moneta é il veicolo convenzionale di scambio di beni e servizi e la finanzia ne é la sua trasposizione temporale creatrice di surrogati e derivati. Fermiamoci qui per quanto riguarda moneta e finanza. Si dovrebbero aprire infatti praterie immense di proposizioni per descriverne le origini, gli utilizzi, l'espansione abnorme e l'eccessivo abuso del sistema finanziario. Basti solo ricordare che le grandi crisi economiche mondiali del '900 e del nuovo millennio sono state determinate da un utilizzo a dir poco spregiudicato della finanza. Punto. Torniamo invece alla cosiddetta economia reale e cioè alla produzione di beni e servizi che si realizza attraverso quella fondamentale attività umana che si chiama lavoro. La grande questione su cui le varie teorie si sono dibattute, per quanto riguarda il modello del capitalismo che é quello attualmente ritenuto più efficiente, é se il mercato da solo abbia la capacità di regolare l'intera economia senza alcun intervento da parte dello stato (inteso in senso lato) oppure se il mercato gestito esclusivamente dai privati non abbia all'interno di sé, tramite domanda e offerta,  la capacità di autoregolarsi e apportare da solo le opportune modifiche alle norme di buon funzionamento senza l'intervento dello stato che per ottenere tale obiettivo deve spesso, ma non sempre, aumentare il debito pubblico. L'indicatore di riferimento oggi utilizzato: il PIL. Cioè la ricchezza totale di un paese, ma anche dell'intero mondo dato come sommatoria di tutti i PIL. Ecco la questione: la creazione e la redistribuzione della ricchezza non solo all'interno di ogni singolo paese tra i vari ceti sociali, ma anche tra i vari stati dell'intero mondo. Partiamo dalla creazione di ricchezza. Fino a quando sarà possibile creare nuova ricchezza ed espandere l'economia mondiale? Secondo i modelli attuali esiste solo un ostacolo: il concetto di limite terrestre. Il nostro pianeta é un corpo finito e le sue risorse sono finite. E' quindi plausibile con i modelli economici attuali e con lo sfruttamento assiduo contemporaneo delle risorse naturali sostenere una crescita infinita? La demografia ci indica una terra in sovraffollamento con prospettive di crescita della popolazione a tassi elevati che porterà, tranne impreviste catastrofi apocalittiche, ad avere risorse via via più limitate a partire da quell'elemento fondamentale che si chiama acqua ed inoltre, ovviamente, un inquinamento sempre più pesante e pericoloso per l'intero ecosistema. La risposta al quesito precedente? Applicando solo il buon senso é evidentemente negativa. Il rimedio? Cambiare politica economica. Pensare a modelli economici in cui si possa fermare l'indiscriminato sfruttamento dell nostra navicella spaziale chiamata Terra. Tutti, ma proprio tutti, dobbiamo renderci conto che qualcosa non va nell'economia attuale. Ci dobbiamo rendere conto che cambiare significa anche evitare gli effetti collaterali che l'attuale modello economico produce e che potrebbero portare,  in tempi non molto lontani, ad un collasso dell'intero sistema. Già prendere coscienza di ciò sarà estremamente positivo e stimolante per portare i dovuti e radicali cambiamenti al sistema economico attuale pensando ed applicando nuovi modelli che siano sostenibili per l'intera umanità. 
Confido che l'intelligenza umana gestisca al meglio i suoi evidenti limiti.