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lunedì 23 febbraio 2015

Manifesto Futurista

"Il Ciclista" - Dipinto di Mario Sironi



Corre veloce l'ignoto
Tuona il cannone in trincea
S'alza come un'alta marea
Che travolge il callido moto

Testamento Ontologico

Foto tratta da : www.meteoweb.eu 


Non c'è traccia di noi 
Nessuno ne parla
Fervente speranza
Delude l'illuso
Dell'essere immanente
Che trascende nell'ente
Nell'inganno del tempo
Nell'eterno infinito

sabato 21 febbraio 2015

Unità D'Intenti



Immagine tratta da www.twcenter.net
Giulio Cesare racconta che durante la guerra gallica, in cui egli stesso fu comandante supremo e di cui egli ne descrisse in modo sublime le fasi salienti nel “De bello gallico”, l’esercito romano perse tragicamente una legione. Già perdere delle coorti, che erano frazioni di una legione, era di per sé un fatto grave, figuriamoci cosa poteva rappresentare per un comandante perdere un’intera legione: un evento funesto. 
L’ottava legione, che si era formata da poco, fu  mandata a porre il campo invernale  presso il popolo gallico degli Eburoni il cui governatore si chiamava Ambiorige. Poiché questa legione era più numerosa delle altre (erano infatti state aggiunte delle coorti in più, quasi a formare due legioni), a capo di essa furono posti due generali: Quinto Tiburio Sabino e Lucio Aurunculeio Cotta (quest’ultimo lontano  parente  di Cesare). Ora un bel giorno Ambiorige, dopo aver fomentato una rivolta contro la presenza del campo romano sul suo territorio, chiese ai due comandanti un’udienza. L’udienza fu concessa ed egli, con fare ingannevole, fece credere ai messi inviati dai due generali, che tutta la Gallia si stava sollevando e che lui, per ricambiare i numerosi favori ottenuti in passato da Cesare, consigliava ai comandanti romani di abbandonare il campo e di raggiungere la legione romana più vicina alla loro, che si trovava a  circa cinquanta miglia e che era comandata da Quinto Cicerone, fratello minore del più noto Marco Tullio. Anzi, per fornire prova della sua amicizia con i romani, si offriva egli stesso con le sue truppe per scortare la legione fino ai confini della regione da lui controllata.
La sera stessa i comandanti discussero la proposta di Ambiorige e mentre Sabino credeva alle parole del governatore gallico e voleva abbandonare con l’intera legione il campo, Cotta, al contrario, non credeva all’Eburone e voleva rimanere asserragliato all’interno del campo, considerando che le provviste erano abbondanti e che i soldati romani erano maestri sia nel fare sia nel subire gli assedi. Si scatenò un violento alterco fra i due comandanti, ognuno sostenuto da una parte degli ufficiali e dei centurioni a loro più vicini, in cui volarono parole pesanti e si fu ad un passo che il tutto degenerasse in una zuffa. Dopo parecchie ore di discussione e a notte ormai inoltrata, Cotta cedette e si lasciò persuadere a adottare la linea di comportamento caldeggiata da Sabino. Al mattino seguente l’intera legione abbandonò il campo e si mise in marcia per raggiungere la legione di Cicerone. Caddero in una vile imboscata e furono trucidati quasi tutti, compresi i due generali romani. I pochissimi superstiti raccontarono poi a Cesare dell’accaduto ed egli ne rimase profondamente turbato.
Chi dei due, tra Sabino e Cotta sbagliò e chi era nel giusto? Meglio, quale delle due analisi adottare per affrontare al meglio le scelte strategiche? Tra Sabino e Cotta si può affermare: ciascuno aveva ragione e ciascuno aveva torto. La loro grave mancanza non consistette nella scelta effettuata, ma come la effettuarono: in apparente accordo, sostanzialmente in disaccordo. Gli ufficiali e la truppa uscirono già demoralizzati e disorientati dal comportamento tenuto dai loro comandanti e questo minò il loro spirito di abnegazione e la loro fiducia nella salvezza. Come insegnò poi Cesare in numerose altre battaglie da lui condotte, l’unità d’intenti e lo spirito di corpo è la prima regola per il mantenimento della fiducia e nella riuscita della vittoria. 
Morale: le scelte sono importanti, ma l'unità d'intenti spesso ne determina gli esiti.

giovedì 19 febbraio 2015

La Settima In Vetta

Ludwig Van Beethoven - dipinto tratto da Wikipedia


Negli anni settanta del secolo scorso diversi gruppi di musica rock progressive realizzarono le loro composizioni, spesso molto lunghe, utilizzando brani di musica classica. Erano soprattutto le bands nella cui compagine militavano valenti tastieristi ad esibire pezzi di musica classica adattati al rock progressivo ed al pop "colto". The Trip, Beggar's Opera e, tra i miei preferiti, gli Emerson Lake & Palmer si distinsero tra questi complessi musicali che fecero ricorso a piene mani al repertorio classico. La curiosità mi indusse ad approfondire il tema ricercando nei loro compositori le forme e le strutture originali che avevano ispirato le rock bands. Un famoso editore dell'epoca propose un'opera enciclopedica di sintesi pubblicando una raccolta di 100 long playing di musica classica in vinile con annesso il rispettivo fascicolo settimanale. Non persi l'occasione e in due anni completai l'intera opera con la rilegatura dei fascicoli in quattro eleganti volumi che tutt'oggi sono presenti nella mia biblioteca personale. Mi imposi, e lo feci ogni settimana, di riuscire a ritagliarmi un po' di tempo per ascoltare il disco acquistato. Ad essere sincero diversi di quei dischi non li ho mai più ascoltati, mentre altri ebbi l'occasione di risentirli più volte e ancora oggi, di tanto in tanto, li riascolto. Un compositore che ho sentito diverse volte é il gigante Beethoven. Non essendo un musicista di professione, ma solo uno sgangherato dilettante, non ho mai approfondito l'aspetto tecnico delle composizioni, ma mi sono sempre affidato alle mie emozioni. Ovviamente le nove sinfonie del grande Ludwig sono state tra le composizione da me più ascoltate in assoluto e in modo particolare la nona, la più famosa.  
Eppure, dopo molti anni, mi sono accorto che la sinfonia che più amo riascoltare non é la nona, ma bensì la settima. Sembra quasi che nella successione numerica delle sinfonie (maledetta razionalità) tra la terza "Eroica" e la sesta "Pastorale" si avverta una crescita del grado verticale di liricità ed i temi emozionali si innalzano strutturalmente di ampiezza e di intensità in cima alla quale la settima é in vetta.  L'ottava e la maestosa nona sono un declivio il cui pathos affluisce nel suo immenso oceano, ma la settima con la ripetitività ossessiva dell'allegretto e le sue improvvise e prorompenti aperture ricadenti in  profondi e silenziosi adagi, scarnifica la dimensione umana e trascende nell'ignoto metafisico.
In questa mia personale visione la settima é la sommità nella quale scorgo l'etereo e il diafano Supremo.

13 Febbraio 1945, Dresda: Tempesta Di Fuoco

Se é vero che la storia é stata sempre scritta dai vincitori,
a Dresda i vinti tacquero per sempre sotto le loro macerie.

giovedì 12 febbraio 2015

Il Demone Iperbolico e L'Angelo Ellittico

La percezione dello spazio che ci circonda ci induce ad assegnargli connotazioni che sono conseguenza di ciò che il nostro immaginario riesce ad elaborare in funzione degli attribuiti che noi crediamo esso possa avere. Tale percezione  è conseguenza di esperienze empiriche dovute alla nostra collocazione fisica posta su una sfera a cui siamo legati dalla forza di gravità. Un esempio classico deriva dalle montagne e dai burroni. La visione di una montagna ci porta naturalmente a pensare positivamente all'innalzamento verso il cielo, mentre lo sguardo nell'antro di un profondo burrone ci dà spesso un senso negativo di terrore. Non per nulla alcuni antri profondi presenti in molte parti del nostro pianeta vengono definiti con precisa definizione semantica "orridi". Le trasposizioni dell'ultrasensibile e dell'ancestrale delle senzazioni che tali luoghi ci inducono hanno portato l'essere umano ad identificarne anche le sedi e le funzioni in chiave filosofica e teologica. Non a caso l'inferno che Dante immagina nella Commedia è descritto fisicamente come una spaventosa ed immensa voragine posta sotto la città di Gerusalemme e provocata dalla rovinosa caduta del "diavolo fra i diavoli", satana in persona, cioé dal precipitare di Lucifero scaraventato giù dal paradiso per avere attentato al primato del suo Creatore. La risultante di questa voragine é, all'opposto, l'altissima montagna che si é innalzata agli antipodi e sede della speranza redentrice: il Purgatorio. Abbiamo già qui una visione geometrica non euclidea che prelude alla visione positiva del bene e negativa del male. La geometria iperbolica degli antri è, con azzardata e forzata definizione, l'idea di uno spazio sottratto (negativo=male), rispetto al rassicurante piano euclideo, in cui un triangolo iperbolico ha somma degli angoli interni minori di 180°, mentre la geometria ellittica delle alture dà l'idea di uno spazio aggiunto (positivo=bene) nella quale la somma interna degli angoli di un suo triangolo é maggiore di 180°.  
Si arriva poi all'eccesso delle concentriche super sfere celesti immaginate da Dante per descrivere il Paradiso Celeste, la decima ed ultima della quale è immota e infinita ed è la sede del Sommo Creatore (guarda caso proprio sulla "sommità" del luogo divino) circondato dagli angeli e dai beati. Possiamo benissimo renderci conto anche sul piano della vita terrena che, dopo la morte, il corpo finirà in una fossa o in ogni caso entro un buco iperbolico, mentre sul piano spirituale, per chi crede, l'anima salirà in cielo se il suo contenitore si sarà comportato bene oppure sprofonderà all'inferno (chissà in quale abisso ed in quale posto situato) se si sarà comportato male.
Eppure a volte non ci rendiamo conto che la fisica, come la geometria e la matematica, non pongono altro che visioni da angolature diverse di un medesimo oggetto, come la terra di riporto dall'inferno al purgatorio danteschi. La bellissima cupola di San Pietro è ellittica all'esterno ed iperbolica all'interno. Se fossimo al centro della terra, cioé all'interno di una sfera, potremmo ammirare l'iperbolismo alla massima estensione angolare. Le geodetiche, che sono tutte le curve i cui punti sono passanti per il centro di una sfera, seppur disegnate sulla sua superficie non sono altro che l'estensione di tutti i suoi raggi. Si può quindi affermare, in modo azzardato e iperbolico, che come il male  ed il bene intesi in senso antropologico sono le due facce di una stessa medaglia, l'iperbole e l'elissi sono la distorsione di un medesimo spazio. Se scaliamo una montagna e volgiamo lo sguardo verso il basso abbiamo chiara la percezione che innalzarsi comporta il pericolo di precipitare. Ci siamo cullati nell'illusione che il miraggio euclideo ci avrebbe affrancati dalla ricerca di una realtà diversa rispetto a quella lineare e neutra. 
Appunto, un'illusione.


mercoledì 11 febbraio 2015

Amico Fedele


Pompeo Cat  - Foto by Eugenio Acran - 2005














Dedicato a gatto Pompeo fuggito per amare e tornato per amore

Bussò una sera portato dal vento
Un sudicio micio dal manto d'argento
Aveva gli occhi color della giada
E nera la fame del gatto di strada

Il pelo malconcio e la zampa azzoppata
Saziò la sua pancia e passò la nottata
Fuggendo il destino e vedendosi morto
Restò nei paraggi cercando conforto

La sorte gli diede una grande fortuna
Trovare una casa con tanto di affetto
Per tetto non stelle e nemmeno la luna
Ma una piccola tana con un soffice letto

Lo splendido micio dagli occhi di giada
Incontrò la sua fine sull'orrida strada
Il corpo straziato e lo sguardo ormai spento
Bussò per morire e tornare nel vento

By Eugenio Acran - A.D. 2005