Pagine

Translate

giovedì 20 giugno 2013

Epicuro, Dove Sei?

Immagine 17 Storia 
La filosofia epicurea  fu elaborata nel IV secolo A.C. e si diffuse in modo capillare a partire dal vicino oriente, ove il grande filosofo era nato, fino a tutto il mondo occidentale. Riscosse un notevole successo di adesione nella repubblica di Roma anche per merito di Tito Lucrezio (con il trattato poetico "De Rerum Natura") e ancor di più nel periodo imperiale per raggiungere l'apogeo di conoscenza tra il I ed il II secolo D.C.. Successivamente, soprattutto a causa della diffusione del cristianesimo che fondava le sue radici nello stoicismo, storica scuola avversa alla filosofia epicurea, conobbe un declino inesorabile fino al quasi totale annientamento per opera, in modo prevalente, della filosofia scolastica e della dottrina del cristianesimo. Ma perché, mi sono chiesto, l'epicureismo fu avversato dai filosofi e teologi cristiani in modo così radicale e quasi ossessivo? Quale ragione spinse un così nutrito numero di seguaci di Cristo a marginalizzare ed esorcizzare una filosofia che, dopo tutto, metteva in primo piano la pace delle emozioni, la parsimonia dei sensi, la misura nel comportamento umano, l'amicizia come elemento fondante della socializzazione e della solidarietà? La prima risposta immediata che nasce da queste domande è che Epicuro considerava la Divinità, intesa come coacervo degli dei, come non presenti nella vita terrena degli uomini. Pensava  il divino come elemento a se stante, non influente nella vita terrena di tutti i giorni, lontano e disinteressato dalle umane faccende. Questo, pensavo, era il fattore fondante per cui i teologi cristiani aborrivano tale filosofia considerata, alla luce della dottrina di Cristo, come abominevole. Sennonché leggendo un saggio, ho appreso in realtà che Epicuro considerava l'uomo attore principale delle proprie azioni proprio perché non esisteva, secondo lui, nessuna possibilità di intervento divino. L'uomo, dunque, al centro del proprio destino terreno nella cui vita doveva trovare le ragioni della propria esistenza, orfano di qualsiasi paternità spirituale superiore la quale non voleva (o non poteva?) ordinare, controllare, premiare o punire nessun essere umano. Con questo veniva negata anche ogni necessità di rappresentanti in terra della divinità  per ordine e conto della quale essi si attribuivano potere di intermediazione spirituale e temporale sull'uomo stesso, sul suo comportamento e sulle sue opinioni. A ben vedere, le regole della filosofia epicurea sul comportamento umano durante la vita terrena si avvicinano al cristianesimo molto di più di altre filosofie dalle quali essa trae fondamento per la sua teologia. La mitezza e la modigerazione, alla base dell'idea che regola la vita umana per Epicuro, accompagnate dall'amicizia e dalla solidarietà, sono solo elementi marginali agli occhi dei filosofi e teologici cristiani. Dio e Cristo sono presenti ovunque, onnipotenti, onniscienti. Nulla accade sulla terra che Dio non voglia, libero arbitrio compreso, ovviamente. Ma il punto centrale del dissidio non è il posto o l'operato diretto della divinità nelle umane azioni, ma di chi in questa vita terrena ne interpreta la volontà e si propone come unico  interlocutore e difensore della sua dottrina.
La modernità e la diffusione delle conoscenze scientifiche hanno portato ad una rivalutazione in chiave terrena della filosofia epicurea. Si denota, per chi l'abbia un po' approfondita, che a prescindere dal proprio credo e della propria fede religiosa, nella vita di oggi in cui l'individualismo e l'egoismo imperversano in modo così radicale nonostante i dettami di tante teologie diverse, l'amicizia, la moderazione, la sobrietà e la solidarietà potranno essere veramente, dal punto di vista puramente umano, i sentimenti che potrebbero cambiare in modo significativo questo nostro mondo così complesso, ambiguo e, spesso,  profondamente ingiusto.
Ultimo quesito. Se esiste una vita ultraterrena intesa secondo il credo delle religioni monoteiste, Epicuro è all'inferno o in paradiso? Come credente in una fede mi asterrei dall'azzardare una qualsiasi risposta.

mercoledì 5 giugno 2013

The Promised Paradise


  
What do you want from life? - I said to myself
Want to be happy? - Hope or illusion
Your mind is rife of ghosts- Lies and confusion
Time is sticky  - Grim and dim
Life passes quickly - Short and meaningless
Death comes fast - Sudden and ruthless
Where is paradise? - I ask myself
Close to the ground and to the left of hell - I was answered



lunedì 3 giugno 2013

Boss On The Road

Il fantasma di Tom, The ghost of Tom Joad, sei tu vecchio amico di strada. Born to run, come i vagabondi della beat generation. Non il viaggiare per viaggiare, ma sulla strada per arrivare, Thunder Road, ad afferrare i sogni della gente comune. La fuga nella libertà della notte, Night, allontana i tormenti del giorno. L'inno per l'amore impossibile, She's The One, e le allucinazioni delle band di strada arroventano la notte nella Jungleland. Mentre il sogno della vita corre dentro un'auto pirata e qualcuno te lo vuole strappare, Something in The Night, ti ritrovi fuggitivo ma ancora vivo. Hai giocato con gli ambigui sentimenti di amicizia e amore, Backstreets, con la spaventosa miseria dei ghetti, Badlands, con la forza dei legami che uniscono come lacci che legano, The Ties That Bind, ma mi hai insegnato che due cuori sono meglio di uno, Two Hearts. Nella solitudine del veterano affiora la miseria della guerra urlando disperatamente la nascita nella tua terra, Born in U.S.A., e la morte riecheggia nella danza del buio, Dancing in The Dark, mentre il bambino diventa adulto nel ricordo dell'unione e cammina come un uomo sulle orme dell'amore, Walk Like Man. Hai cacciato la tristezza di una giornata di pioggia senza nuvole aspettando che venga una giornata di sole, Waitin' On A Sunny Day, hai sussurrato la spiritualità nella forza della risalita, The Rising, e hai preteso subito la giusta paga per un duro lavoro, Pay Me My Money Down. Hai raccontato il ritorno verso casa nei ricordi delle persone del tuo passato, Long Walk Home, hai suonato il lamento del forzato, Shackled and Drawn. Sei un uomo tuttofare, vecchio e nuovo da aggiustare, Jack of All Trades, denunciando chi la morte porterà dentro il cuore della tua città, Death to my Hometown. L'aiuto in amore che hai richiesto con il pudore della tua fragilità, This Depression, ti riscatta nell'orgoglio che demolisce ogni velleità, Wrecking Ball.

Hello Bruce,
tutto questo hai  suonato, cantato e ballato in quell'uggiosa notte dell'estate che non volle arrivare.

lunedì 20 maggio 2013

Muppets Show Theme


               

Briacabanda feat Luca Casadei Band


Muppets song - very good

Marcia Funebre per una Marionetta (Charles Gounod 1818-1893)

    





http://www.youtube.com/watch?v=bHSUbsgweEA

Lugano's Mandolin Orchestra - Ticino (Svizzera) - arrangiamento di Rodolfo Borsani.

Perfetta ed esilarante. Tutti bravi.

Il Mito dell'Auto Italiana

                            File:Logo della Volkswagen.svg     
Immagine 14 Automobili


Quando presi la patente io, un po' di anni fa, il marchio dell'automobile più venduto in Italia era Fiat. La casa automobilistica sembrava l'emblema della nostra industria, non solo meccanica, ma l'"Impresa" per antonomasia. Le auto di grossa cilindrata erano rare e, già a quei tempi, non tutte italiane. Per le auto considerate di lusso tra i marchi italiani, non ancora accorpati nel gruppo Fiat, si distingueva il marchio Lancia. Oggi il gruppo Fiat rimane in testa tra le auto più vendute in Italia con una percentuale totale di vendita, assommando i vari marchi, che si attesta a quasi il 65% per l'anno 2012. Il gruppo Volkswagen, storico antagonista, si attesta intorno al 14%. Vista così la situazione non sembrerebbe poi male. Ma è sui grandi numeri che il marchio Fiat praticamene sparisce. Mi riferisco al mercato europeo nel quale tra i primi 10 posti nessun marchio del gruppo Fiat appare in classifica, mentre il gruppo tedesco è padrone assoluto. Se in Italia la Fiat può vantarsi ancora di primeggiare, in Europa, rispetto alle altre case automobilistiche, il gruppo arranca visibilmente. E' un momento difficile per tutti, vista la profonda e prolungata crisi economica, e non bisogna scordarsi che a metà del decennio scorso la Fiat ha rischiato di fallire o, nella migliore delle ipotesi, di essere assorbita da qualche altro gruppo automobilistico. Stranamente si è salvata, al contrario di altre aziende, grazie ad una operazione finanziaria di Put (diritto a vendere) che la Fiat si era riservata negli accordi che aveva fatto a suo tempo con la General Motors. Successivamente l'avvento di Luca di Montezemolo, che ha chiamato come Amministratore Delegato Marchionne, ha risollevato le sorti, ma oggi lo scenario è completamente cambiato. Marchionne ha acquistato la Chrysler e il mercato di rifermento è diventato quello statunitense. Si è poi innescato un meccanismo di sfiducia tra la governance e la forza lavoro con scontri molto duri soprattutto tra una parte (minoritaria) del sindacato e l'amministratore delegato. Insomma, nonostante gli annunci di rilancio, la ristrutturazione aziendale e il referendum tra i lavoratori per accettare le richieste dell'azionariato, la Fiat permane in uno stato di crisi. Così, sembra, amministratore delegato ed azionisti vorrebbero portare la sede in America a Detroit per seguire  più da vicino l'azienda Chrysler e abbandonare al suo definitivo declino gli stabilimenti Fiat Italiani.
Senza entrare nel merito delle responsabilità e delle ragioni che sicuramente esistono da entrambe le parti, azionisti rappresentati dall'amministratore delegato da una parte e forza lavoro rappresentata dai sindacati dal'altra, si potrebbe fare una proposta molto provocatoria, ma che ha, forse, qualche fondamento.
La forza della Fiat è sicuramente rappresentata dai modelli di utilitaria e comunque di segmento A e B. Su tale comparto l'azienda ha una lunga esperienza ed è indubbio che modelli come Panda, Punto e Nuova 500 sono sicuramente auto di riferimento nel loro segmento di mercato.
Perché allora non proporre una vendita di questo core business alla più potente casa automibilistica europea, cioè alla Volkswagen? Riuscendo ad intercettare un prezzo equo e salvaguardando, con nuovi investimenti, gli attuali posti di lavoro, si potrebbero risolvere i problemi che attanagliano l'intero gruppo.
Ci sono, ovviamente, alcune considerazione da fare. La prima sarebbe estendere il modello di govenance della casa tedesca anche agli stabilimenti italiani. Il sindacato dovrebbe perciò adeguarsi al modello di quello tedesco altrimenti si perderebbero i notevoli vantaggi che tale modello sta esprimendo a livello di produzione e competitività della casa tedesca. I lavoratori e i sindacati assieme dovrebbero accettare in toto il sistema tedesco di partecipazione e responsabilità nella produzione delle auto, adeguandosi alle produzioni che la Volkswagen esprime con i marchi acquisiti in altri paesi come, ad esempio, la Seat spagnola e la Skoda della repubblica Ceca. Si manterrebbe il marchio Fiat, applicando il modello tedesco di produzione e commercializzazione. Gli attuali azionisti uscirebbero di scena trasferendosi in America e investendo il denaro percepito dalla vendita negli stabilimenti americani del marchio Chrysler e concentrando perciò il loro core business solamente in un continente ed in segmenti di mercato diversi.
Utopia? Può darsi. Questo lungo braccio di ferro, che dura da troppo tempo tra lavoratori e governance, ha prodotto solo divergenze ed incomprensioni. L'amminsitratore delegato ha dimostrato di avere una visione anglo americana del capitalismo (senza giudizio nel merito), mentre il sindacato si è dimostrato forse inadeguato per le nuove sfide dei mercati mondiali rimanendo fermo su schemi di partecipazione al lavoro ormai obsoleti e superati. Probabilmente sono in grossolano errore, ma sono convinto che se si facesse un referendum tra tutti i lavoratori del gruppo Fiat chiedendo se volessero aderire al gruppo Volkswagen, accettandone le regole di produzione ed il rischio annesso, la grande maggioranza sarebbe d'accordo di poter lavorare per il gruppo tedesco. Questo rimane, ovviamente, solo un esercizio teorico di economia che è difficile, se non impossibile, da realizzare. Troppo diverso il modo di concepire capitale e lavoro nel nostro paese che impedisce, di fatto, di riscrivere un nuovo patto sociale nel quale ognuno si prenda le proprie responsabilità ed i propri eventuali meriti o sconfitte.

sabato 18 maggio 2013

Teorema Musicale

Siamo nella seconda metà degli anni '70. Un gruppo di amici si trova seduto comodamente al solito bar, punto di ritrovo per giocate a biliardo, qualche scala quaranta, immancabile sigaretta in bocca (ora ripudiate da tutti), interminabili discussioni. Il tema della serata è: la musica pop imperante in questo (di allora) momento. Parla Enzo, il musicofilo batterista: pontifica. Preparato, ma banale. La discussione si fa  però più accesa tra il sottoscritto e Roberto. Motivo del contendere: contrapposizione tra tecnica virtuosistica e composizione. Il sottoscritto, paladino del virtuosismo,  erge a  proprio simbolo un gruppo pop versione "progressive" molto famoso e di cui ha esperienza diretta essendo andato a sentire dal vivo un loro concerto. Si tratta degli Emerson, Lake & Palmer.  Roberto, rigorosamente fermo sulla composizione, contrappone un altro famosissimo e collaudato team di musica pop psichedelica: i Pink Floyd. La mia tesi, che considero vincente, è che un musicista deve essere preparato, padrone del suo strumento, possibilmente un virtuoso, tecnicamente forte. Deve saper leggere uno spartito a prima vista, deve saper suonare ogni tipo di musica in modo decente, deve saper comporre e, soprattutto, deve saper interpretare e rimodulare la musica altrui. Keith Emerson si presta ovviamente a tutte queste caratteristiche. Ha reinterpretato brani di musica classica in modo così convincente che devo a lui il mio avvicinamento e la mia (modesta) conoscenza della musica classica e sinfonica, ma ha anche prodotto, insieme al suo gruppo, ottima musica pop ("Tarkus" docet). Il tastierista ha temperamento e possiede inoltre doti eclettiche non indifferenti passando, con brani suonati al pianoforte, da un rock scatenato ad un ragtime del tipo "Ranch-Saloon" e da una riedizione personalizzata di una piece classica ad un pezzo di dixie jazz. Utilizza inoltre il suo potente Hammond C3 come una banda che suona a fanfara, passando dalla "Promenade" dei "Quadri di Esposizione" di Mussorgsky, ad una scatenatissama ballata da rodeo come "Hoedown" di Aaron Copland, per finire con una originalissiama interpretazione del "Bolero" di Ravel. Esilarante ed indemoniato. Il mio modello di musicista.
Roberto è più pacato. Non contrappone il virtuosismo strumentale e nemmeno la reinterpretazione di brani famosi. Si concentra invece ossessivamente sulla novità. Si intestardisce puntigliosamente su "una nuova e originale composizione", mai tentata prima di ora. Applaude alla sperimentazione sintetica. Si appella alle diafane visioni dell'inconscio ed agli stati emozionali provocati da voci e melodie che sfiorano l'eccelso mentre , a mio avviso,  rievocano stati di paranoia, magari prodotti da allucinogeni come il famigerato LSD. Non gradisco l'uso indiscrimitato dei sintetizzatori, degli effetti speciali che coprono, secondo il mio punto di vista, uno scarso supporto tecnico-strumentale. Manca quindi il virtuosismo tecnico e viene riprodotta una musica che tutti possono comporre senza avere prima effettuato una preparazione specialistica e strumentale adeguata. Il mio atto di accusa è la superficialità. Il suo atto di accusa è la banalità e l'affermazione che musicalmente la mia posizione avalla un "niente di nuovo sotto il sole".
Sono passati tanti anni. Troppi per non rimpiangere quei tempi in cui la musica rappresentava per noi un motivo di coagulo, di discussione ininterrotta, di partecipazione a diversi concerti spendendo i pochi soldi a disposizione in biglietti al botteghino e per l'acquisto dei preziosissimi long playing. Appena uno del gruppo di amici ne acquistava uno, l'evento diveniva motivo per ritrovarsi a casa sua ed ognuno di noi si trasformava in critico musicale aprendo dibattiti senza fine. Oggi poi, con i diabolici MP3, IPOD e compagnia varia, si ha la possibilità di ascoltare un'infinità di musica in qualsiasi luogo e in qualunque momento: in perfetta e spesso malinconica solitudine. Si possiede la fortuna, data dalla  tecnologia, di poter comparare immediatamente un brano ad un altro, un autore ad un altro e di renderti subito conto, data anche l'età non pù giovane e l'esperienza e la capacità critica accumulata nel tempo, di capire effettivamente la valenza e l'imprinting che ogni autore ha lasciato con le sue opere lungo il cammino della storia della musica pop.
Non ho cambiato idea sul bravo e preparato Emerson, ho cambiato invece radicalmente opinione sui Pink Floyd. Devo ammettere che il buon Roberto aveva perfettamente ragione. Se da un lato la tecnica virtuosa di Keith mi ha permesso un ampio approccio alla musica in senso lato, oggi, confesso, Waters & company hanno lasciato un'indelebile solco tracciato nella storia della musica pop. Riascoltando i brani, ormai mitici, non si può esimersi dal catalogare opere come Atom Heart Mother, Meddle, The Dark Side of the Moon, Wish You Were Here, The Wall, The Division Bell come veri capolavori di composizione innovativa. In tutta la storia della musica, dall'antica, alla classica, alla moderna, alla contemporanea e nella più ampia accezione dei termini che la definiscono, esiste sempre, per ogni genere ed epoca, qualche autore che delimita uno spartiacque e l'inizio di una nuova epoca scavando un solco nuovo per un nuovo genere. Si possono annoverare tra i pionieri e i generatori di nuovi prototipi musicali nei quali si formano dei discepoli che spesso superano i maestri. Ma proprio questo non è il caso dei Floyd. Loro sono stati gli archetipi fondatori, sicuramente con altri gruppi,  di un genere nuovo del quale però ne hanno dettato i canoni con brani il cui valore simbolico e semantico non è mai stato eguagliato da altri compositori del medesimo genere. Ma la magia della loro musica, oltre ovviamente all'originalità, rimane sicuramente lo spessore emotivo e il messaggio subliminale dell'inconscio che si astrae dal genere stesso e lo supera creando una nuova e non ben configurata classe musicale. Si potrebbe azzardare l'unicità delle composizione in un tracciato compositivo di valore universale. Tale definizione può essere avallata dall'utilizzo trasversale della loro musica da parte del cinema, della pubblicità, della televisione e negli ambiti più svariati come lo sport, la cultura, l'informazione e l'arte.
Devo dare l'onore a Roberto di avere percepito da subito, in quegli anni lontani, il valore dell'originalità compositiva, la compulsione emotiva delle sensazioni create, la capacità di destare, ancor più oggi, un profondo ed ignoto sentire che genera turbamento e angoscia da un lato, ma anche serena pacatezza ed ancestrale sublimazione dall'altro. E tale prodotto rimane originale in ogni tempo.
Con tutto ciò, caro Robby, devo sinceramente ammettere che la nostra disputa, a distanza di anni,  l'hai sicuramente vinta tu.