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Si afferma che
io esista dal ventisette di gennaio del cinquantasei, se di esistenza si può
parlare.
Il mio nome, se tale si può definire, è
Eugenio Mozart N.
Sì, il Mozart è proprio quel geniaccio di
Johannes Chrysostomus Wolfgangus Teophilus Sigismundus Amadeus Mozart, nel
senso che il riferimento è alla sua persona, ma io con lui non ho assolutamente
nulla a che fare. Ebbi l’onore di vedere la luce, così mi dissero, proprio lo stesso giorno e lo stesso mese di
molti secoli dopo e mio padre, appassionato di musica antica, non perse
l’occasione per farmelo ricordare per tutta la vita.
L’evento
avvenne, così mi raccontarono, in quell’antico lembo di terra che si estende
tra la vecchia regione di Laguna Giulia e la non meno antica terra di Maribor.
Nei primi secoli di questo nuovo millennio una sostenuta migrazione di
popolazioni di provenienza orientale si integrò con genti occidentali
stanziali, originando una sorta di nuova popolazione, la quale evidenziò tratti
somatici molto particolari e diversificati. E’ strano come sul finire del V°
millennio dell’era di Uruk si diffusero diversi movimenti autonomistici a
carattere tipicamente regionale in un periodo storico di forti aperture
politiche, economiche e culturali. Oggi, nel più grande stato federale oceanico
del mondo, le macroregioni si sono identificate nelle direttrici del trasporto
passeggeri e merci percorse da potenti treni capaci di raggiungere elevate
velocità.
Le superlinee collegano la fascia oceanica
euro-atlantica all’affossata pianura continentale di
Magnitogorsk-Yekaterinburg. La mia superlinea di riferimento parte da Le
Conquet e passando per Laguna Giulia arriva a Kursk in poche ore. Ci sono poi
le interlinee che collegano perpendicolarmente le superlinee, formando una
grande rete trenoviaria che caratterizza l’intera regione come un bacino idrico
solcato da un grande fiume e dai suoi numerosi affluenti.
Dalla costa oceanica s’inabissano le
sublinee, in cui enormi vettori pressurizzati a lievitazione elettromagnetica
sono sparati come proiettili dentro tubi in sospensione idrostatica al cui
interno si crea il vuoto pneumatico e la cui spinta retrostante avviene per
mezzo di potenti colonne d’aria prodotte da giganteschi compressori istallati e
distribuiti nelle stazioni di pompaggio disseminate lungo l’intera linea del
percorso. Il tragitto sub oceanico Le Conquet – Cape Cod Bay che attraversa
l’intero Atlantide, si percorre in poche ore. Meno del tempo impiegato,
incredibilmente, dai treni subsonici di superficie che percorrono la tratta
tutta pan europea della mia superlinea di riferimento. I limiti di questi
vettori, come dicono gli ingegneri progettisti, non sono il raggiungimento di
alte velocità, ma il sistema di frenaggio che utilizza l’immissione graduata di
aria e vapore acqueo all’interno dei tubi.
Gli arcaici mezzi stradali a combustione
interna non sono più in uso, tranne che per i collezionisti che a fatica
trovano i rarissimi idrocarburi per il loro funzionamento e previa speciale e
restrittiva autorizzazione rilasciata in rare occasioni dagli organismi
governativi di tutela pubblica ambientale. Gli attuali ‘mobile’ sono mossi da
propulsori elettroidrogenati che servono solo per spostamenti brevi al massimo
fino alle stazioni ferroviarie o nelle località prive di vettori per il
trasporto pubblico e in ogni caso mai, per restrittiva legge federale, oltre i
confini della propria macroregione.
Sono rimasti pochi aeromobili e quasi
tutti per uso militare.
Gli ascensori cosmici disseminati in
diversi continenti collegano le basi di superficie del pianeta alle piattaforme
orbitanti, moli d’attracco per vettori ionosferici e per i giganteschi cruiser
interplanetari.
Solo un archivio
virtuale di svariati milioni di kosmobytes sarebbe in grado di contenere
l’intero elenco di tutte le ricerche, le sperimentazioni, le scoperte relative
ai settori della medicina, delle biotecnologie, della genetica, della
cibernetica, della telematica, dell’informatica, della fisica, della cinematica
effettuate in questi ultimi secoli della nostra era.
Eppure, questo diario vuole essere una
testimonianza rivolta a monito per le generazioni future. In un’era in cui
l’emblema della velocità della comunicazione e dell’informazione, assunta a
simbolo di civiltà evoluta ciberneticamente, si scontra con un mondo deserto di
sentimenti, arido di interpersonalità, in cui il toccarsi fisicamente non è più
socialmente, intellettualmente, politicamente corretto e in cui la maggior
parte del tempo quotidiano è dedicato allo studio e al lavoro in modo
strettamente solitario. L’interagire, anche con le persone care, avviene in
modo soverchiante con mediazioni virtuali, in cui voci e immagini si rincorrono
in soffitti audio a strutture polifoniche amplificate e pareti ad intonaci
fotoplasmatici iperdefiniti in protocollo algodigitale strutturati negli spazi
interni delle nostre abitazioni.
L’urto di massa avviene inevitabilmente,
in modo obbligato e involontario, solo nei grandi snodi di comunicazione e
rappresenta il fastidio sociale del nostro mondo. L’urlo muto di Munch,
un’antichissima ed oramai scomparsa tela di cui restano solo riproduzioni in
copia ed emblema della rappresentazione visiva della disperazione dell’intimo,
si addice perfettamente alla nostra era ipertecnologica, alla mia mente malata,
al malessere di vivere provocato dalla forza di eventi esterni alla mia
persona, ma interni al mondo in cui vivo. Eventi ineluttabili e non prevaricabili.
*(immagine tratta dal sito http://www.urcaurca.it/intervento-chirurgico-ridona-il-controllo-parziale-delle-mani.html)
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