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giovedì 29 maggio 2014

Post-Future


* cibernetica
Si afferma che io esista dal ventisette di gennaio del cinquantasei, se di esistenza si può parlare.
Il mio nome, se tale si può definire, è Eugenio Mozart  N.
Sì, il Mozart è proprio quel geniaccio di Johannes Chrysostomus Wolfgangus Teophilus Sigismundus Amadeus Mozart, nel senso che il riferimento è alla sua persona, ma io con lui non ho assolutamente nulla a che fare. Ebbi l’onore di vedere la luce, così mi dissero,  proprio lo stesso giorno e lo stesso mese di molti secoli dopo e mio padre, appassionato di musica antica, non perse l’occasione per farmelo ricordare per tutta la vita.
L’evento avvenne, così mi raccontarono, in quell’antico lembo di terra che si estende tra la vecchia regione di Laguna Giulia e la non meno antica terra di Maribor. Nei primi secoli di questo nuovo millennio una sostenuta migrazione di popolazioni di provenienza orientale si integrò con genti occidentali stanziali, originando una sorta di nuova popolazione, la quale evidenziò tratti somatici molto particolari e diversificati. E’ strano come sul finire del V° millennio dell’era di Uruk si diffusero diversi movimenti autonomistici a carattere tipicamente regionale in un periodo storico di forti aperture politiche, economiche e culturali. Oggi, nel più grande stato federale oceanico del mondo, le macroregioni si sono identificate nelle direttrici del trasporto passeggeri e merci percorse da potenti treni capaci di raggiungere elevate velocità.
Le superlinee collegano la fascia oceanica euro-atlantica all’affossata pianura continentale di Magnitogorsk-Yekaterinburg. La mia superlinea di riferimento parte da Le Conquet e passando per Laguna Giulia arriva a Kursk in poche ore. Ci sono poi le interlinee che collegano perpendicolarmente le superlinee, formando una grande rete trenoviaria che caratterizza l’intera regione come un bacino idrico solcato da un grande fiume e dai suoi numerosi affluenti.
Dalla costa oceanica s’inabissano le sublinee, in cui enormi vettori pressurizzati a lievitazione elettromagnetica sono sparati come proiettili dentro tubi in sospensione idrostatica al cui interno si crea il vuoto pneumatico e la cui spinta retrostante avviene per mezzo di potenti colonne d’aria prodotte da giganteschi compressori istallati e distribuiti nelle stazioni di pompaggio disseminate lungo l’intera linea del percorso. Il tragitto sub oceanico Le Conquet – Cape Cod Bay che attraversa l’intero Atlantide, si percorre in poche ore. Meno del tempo impiegato, incredibilmente, dai treni subsonici di superficie che percorrono la tratta tutta pan europea della mia superlinea di riferimento. I limiti di questi vettori, come dicono gli ingegneri progettisti, non sono il raggiungimento di alte velocità, ma il sistema di frenaggio che utilizza l’immissione graduata di aria e vapore acqueo all’interno dei tubi.
Gli arcaici mezzi stradali a combustione interna non sono più in uso, tranne che per i collezionisti che a fatica trovano i rarissimi idrocarburi per il loro funzionamento e previa speciale e restrittiva autorizzazione rilasciata in rare occasioni dagli organismi governativi di tutela pubblica ambientale. Gli attuali ‘mobile’ sono mossi da propulsori elettroidrogenati che servono solo per spostamenti brevi al massimo fino alle stazioni ferroviarie o nelle località prive di vettori per il trasporto pubblico e in ogni caso mai, per restrittiva legge federale, oltre i confini della propria macroregione.
Sono rimasti pochi aeromobili e quasi tutti per uso militare.
Gli ascensori cosmici disseminati in diversi continenti collegano le basi di superficie del pianeta alle piattaforme orbitanti, moli d’attracco per vettori ionosferici e per i giganteschi cruiser interplanetari.
Solo un archivio virtuale di svariati milioni di kosmobytes sarebbe in grado di contenere l’intero elenco di tutte le ricerche, le sperimentazioni, le scoperte relative ai settori della medicina, delle biotecnologie, della genetica, della cibernetica, della telematica, dell’informatica, della fisica, della cinematica effettuate in questi ultimi secoli della nostra era.
Eppure, questo diario vuole essere una testimonianza rivolta a monito per le generazioni future. In un’era in cui l’emblema della velocità della comunicazione e dell’informazione, assunta a simbolo di civiltà evoluta ciberneticamente, si scontra con un mondo deserto di sentimenti, arido di interpersonalità, in cui il toccarsi fisicamente non è più socialmente, intellettualmente, politicamente corretto e in cui la maggior parte del tempo quotidiano è dedicato allo studio e al lavoro in modo strettamente solitario. L’interagire, anche con le persone care, avviene in modo soverchiante con mediazioni virtuali, in cui voci e immagini si rincorrono in soffitti audio a strutture polifoniche amplificate e pareti ad intonaci fotoplasmatici iperdefiniti in protocollo algodigitale strutturati negli spazi interni delle nostre abitazioni.
L’urto di massa avviene inevitabilmente, in modo obbligato e involontario, solo nei grandi snodi di comunicazione e rappresenta il fastidio sociale del nostro mondo. L’urlo muto di Munch, un’antichissima ed oramai scomparsa tela di cui restano solo riproduzioni in copia ed emblema della rappresentazione visiva della disperazione dell’intimo, si addice perfettamente alla nostra era ipertecnologica, alla mia mente malata, al malessere di vivere provocato dalla forza di eventi esterni alla mia persona, ma interni al mondo in cui vivo. Eventi ineluttabili e non prevaricabili. 

*(immagine tratta dal sito  http://www.urcaurca.it/intervento-chirurgico-ridona-il-controllo-parziale-delle-mani.html)

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