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mercoledì 19 febbraio 2014

Distopia

Tommaso Moro  (da vitadibruno.filosofia.sns.it)

 "Nessuno è divino che non sia umano, nessuno è umanissimo che non sia divino".

Questa affermazione è di Marsilio Ficino, umanista toscano del '400,  e si potrebbe considerare il motto incardinatore dell'umanesimo. Il movimento pone l'uomo al centro della vita terrena non più incondizionatamente subalterno allo spirito divino, ma in possesso di una propria autonomia intellettiva, capace di esprimere appieno l'idea dell'antica "humanitas" intesa come capacità dell'essere umano, tramite la ragione e l'intelletto, di portare al  superamento dei pregiudizi legati al concetto di diseguaglianza per razza, sesso, religione, cultura e, aggiungo io, di censo. Il perfezionamento di questo ideale, teorizzato già da parte della cultura romana da parte del cosiddetto "Circolo degli Scipioni", si concretizza ideologicamente nel '400 soprattutto nell'Italia signorile dei Medici e in Europa per merito di Erasmo da Rotterdam e Tommaso Moro. Quest'ultimo è l'autore, a mio avviso, del manifesto dell'umanesimo inteso come concezione moderna della società umana tramite la sua famosa opera letteraria "L'Utopia". Il titolo è già indice dell'intelligenza ironica del suo autore immaginando una società organizzata in U-Topos, "luogo che non può essere". L'isola che non c'è è un mondo dove la ragione umana trova la sua perfezione. Un lavoro sobrio dove l'uomo lavora un tempo limitato senza ammazzarsi di fatica, dove i beni sono equamente divisi e non di privata proprietà, dove lo stato è retto da una repubblica illuminata, dove la giustizia trova la ragione semantica del suo nome. Insomma, un posto perfetto e tautologicamente utopico!
E noi? Sì, dico, noi società del terzo millennio, a che punto siamo? Abbiamo scritto innumerevoli testi sulle motivazioni delle nostre umane sconfitte. Siamo anzi bravissimi nel genere opposto della distopia nel descrivere cioè società post-catastrofiste in cui l'uomo teorizza la sua costante incapacità di sconfiggere le ingiustizie, le ipocrisie, l'egoismo e l'atavica "avidità" di Gordon Gekko.
Abbiamo tutti un blues per piangere. A volte, però, vorrei ascoltare dell'altra musica.
 

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