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martedì 21 gennaio 2014

L'Inglesina


Illustrazione - Baby peeking fuori da una carrozzina

http://it.123rf.com/photo_8754258_baby-peeking-fuori-da-una-carrozzina.html
  
L’ho difesa strenuamente, tesoro mio, la tua Inglesina blu del 98; 
ha superato due traslochi, ha lottato e vinto facendosi spazio tra valige, alberi di Natale e biciclette stipate nel garage. 
Non voleva andarsene; troppo bella, tutta cromata – sì, sì come la motocicletta di Battisti – con la sua imbottitura ancora candida e intatta. 
Anche dopo anni vedevo ancora il tuo musetto ridanciano incastonato al suo interno – sì, sì, come il diamante in mezzo al cuore di “Almeno tu nell’Universo” – una gemma ben custodita, preziosa e amatissima.
E poi ho capito che comunque non avrei scordato nulla e ho trovato il coraggio di regalarla a una mamma che forse aveva qualche difficoltà, ma la cui bambina aveva senz’altro diritto alla propria piccola Rolls Royce dove, come ben sapeva Marilyn Monroe, si piange meglio che sui vagoni del metrò.

By Letizia Tonello vincitrice per l'anno 1998 del premio "50 Anni di storie d'amore"


venerdì 17 gennaio 2014

Il Creatore Del Nulla

Buco nero 3d Buco Nero - tratto da www.carlocestra.com - Digital's Productions

Ammiro il grande cosmologo e fisico matematico inglese Stephen Hawking.  Ho letto anni fa il suo famoso libro di divulgazione edito nel 1988 "Dal Big Bang ai Buchi Neri". Non ho invece letto il suo trattato "la Grande Storia del Tempo" del 2005. Di questa opera il canale televisivo scientifico Focus ha tramesso recentemente un servizio nel quale se ne spiegavano i passaggi salienti e le conclusioni che lo scienziato britannico ha tratto in relazione all'evento del Big Bang ed alla creazione dell'universo. In esso si afferma, con supporto di provati elementi scientifici, che l'universo non è stato creato, ma è sorto dal nulla, perchè il totale positivo della materia-energia contenuta nell'universo è esattamente uguale alla sua negatività dando come risultato una somma zero. L'esempio riportato dal servizio televisivo proponeva un uomo che, scavando nel terreno, innalzava un cumulo di terra che rappresentava la materia-energia positiva, producendo di conseguenza un buco nel suolo che rappresentava la negatività lasciata da questa attività. Prima dell'inizio dell'universo tutto questo "Nulla" era contenuto, in base alla teoria del Big Bang, entro un buco nero primordiale di dimensioni infinitamente piccole (circa le dimensioni di un protone) e di potenzialità tendenti all'infinito. Il servizio metteva quindi in risalto l'assoluta certezza da parte del grande scienziato che nessun dio è intervenuto per creare l'universo in quanto l'universo si è formato dal nulla contenuto in un punto infinitamente piccolo in cui non c'era niente. Dire quindi, aggiungo io, che una divinità ha creato un nulla dal quale si è poi formato l'universo è una contraddizione in termini. Infatti la religione monoteista afferma che dal nulla la divinità ha creato il mondo, ma non che ha creato il nulla in quanto l'uno è esattamente l'opposto dell'altro. Non si può pensare che una divinità che ha creato tutto, anche la logica matematica, ne possa violare arbitrariamente la seconda legge senza dare nell'occhio alla limitata mente umana (anch'essa da lui creata). Ad ulteriore riprova dell'enunciato scientifico proposto, il professor Hawking afferma che avendo il tempo entro un buco nero valore zero (comprovato ineccepibilmente dalla teoria della relatività di Einstein), nessuna divinità disponeva di tempo per creare l'universo. Visto poi  che il tempo ha avuto inizio con il Big Bang proprio a causa dell'esplosione del buco nero all'interno del quale il tempo non esisteva, nessuna divinità poteva avere "prima" il tempo di fare qualche cosa visto che esso non esisteva.
Scientificamente parlando tali affermazioni sono ineccepibili soprattutto perché chi le enuncia è la massima autorità vivente in materia e perchè supportate da complicati ed articolati passaggi di scienze come la matematica, la fisica, la chimica e dalle due grandi teorie della fisica contemporanea dettata da un lato dalla teoria della relatività per la cosmologia e dalla teoria quantistica per la composizione atomica e subatomica della materia.
Ora vorrei esaminare queste affermazioni prendendo le giuste distanze sia dall'ateismo più convinto sia dalla fede religiosa più devota rischiando di passare per agnostico (inteso come disinteresse totale per entrambe le posizioni) e relativista  (inteso come possibilista per entrambe) ma tentando di analizzare le diverse posizioni in modo equo ed appropriato.
Stephen Hawking ha affrontato il problema della creazione per intervento divino ponendo esclusivamente argomentazioni scientifiche e non teologiche. Questo è ovvio ed insito nel fatto che lui è per l'appunto uno scienziato e non un teologo. Il punto formale sul quale però il professore non è stato convincente dal punto di vista teologico è la questione del tempo. Quattrocento anni dopo Cristo il teologo cattolico Sant'Agostino da Ippona affrontava proprio il tema della creazione dell'universo. Il nodo cruciale della sua esposizione fu proprio la questione del "tempo". Nel libro XI del suo trattato "Le Confessioni" in merito alla meditazione del primo versetto del libro della Genesi, "In principio Dio creò l'universo", egli definisce "forse pieni della loro vecchiezza", vecchiezza intesa come materialità della carne che si corrompe, chi si è posto la famosa domanda: "Cosa faceva Dio prima di creare il cielo e la terra?". Agostino è veramente bravo dal punto di vista teologico nel rispondere a questa domanda deplorando la risposta che qualcuno ironicamente si affrettò a dare nell'affermare (in variante): "Prima di creare l'universo Dio creava l'inferno per condannarci tutti quelli che si ponevano questa domanda". Agostino afferma, al contrario, che a questa pertinente domanda non bisogna rispondere in modo ironico, ma tentando di capire. Ed è qui il punto cruciale che forse il professor Hawking non ha mai letto o forse volontariamente ha eluso nella sua conclusione. Il tempo, afferma Agostino, non esisteva prima che Dio creasse l'universo. In sostanza egli punta il dito contro quell'avverbio di tempo contenuto nella domanda, quel "prima" che dal punto di vista teologico è privo di senso. Dio infatti, afferma Agostino, non ha tempo. L'uomo non vive un presente perfetto, nel senso che il futuro è ancora al di là del divenire sospinto da un passato che è già remoto e l'uomo non riesce assolutamente a cogliere il tempo presente che è invece l'unico tempo di Dio, appunto onnipresente e perfetto. Esiste quindi una sostanziale differenza tra il "non-tempo" divino ed il "tempo" dell'universo misurabile dallo scibile umano. Nessun nesso esiste tra l'uno e l'altro. Il presente continuo divino non trova concezione nella rappresentazione del tempo umano cosmologicamente inteso. Ecco dunque l'affermazione teologica che attacca la certezza dello scienziato sull'assoluta impossibilità di un intervento divino nemmeno nella creazione del nulla contenuto nel buco nero primordiale. Se il tempo è solo movimento cosmologico in cui esso si azzera nella singolarità del buco nero, nulla toglie che sia concepito da chi è trascendete al tempo cosmologico stesso perchè da lui creato.
Resto quindi dell'idea che se dal punto di vista scientifico nulla si può eccepire alle affermazioni del professor Hawking, dal punto di vista teologico il problema è già stato eccepito e risolto.
Si ritorna perciò alla fondamentale domanda posta dall'uomo a se stesso: credere o non credere? Avere o non avere la fede? Penso comunque sia riduttivo dare risposte a queste eterne domande che forse risposte non hanno. Indipendentemente dal credo o non credo di ognuno, io ringrazio chicchessia per l'esistenza del professor Hawking che oltre ad essere un valente scienziato egli è soprattutto un grande uomo che si è posto domande ontologiche a cui ha dato risposte scientifiche.

venerdì 27 dicembre 2013

Abbiamo Tutti La Nostra Spoon River

1930, Grant Wood, American Gothic,. Pubblicato da Domenico Olivero 

"Non al denaro non all'amore nè al cielo", é il disco del 1971 con la raccolta di nove canzoni che Fabrizio De André trasse liberamente da alcune poesie dell'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Ho pensato che se  il grande cantautore genovese fu ispirato dall'opera poetica dell'Antologia, valesse davvero la pena di leggerne le poesie. Così, dopo anni in cui mi ero ripromesso di acquistarne il libro, finalmente l'ho comperato in una di quelle bancarelle di libri che si trovano nei mercatini delle città.
L'Antologia, come affermò lo stesso autore, é un compromesso tra narrazione e poesia. Masters immagina che nel cimiero di Spoon River ogni tomba riporti in versi l'autobiografia narrata in forma di epitaffio da ogni singolo defunto che racconta in episodi salienti la propria vita e la propria morte. Mi ha colpito l'originalità dell'autore nel descrivere i molteplici vissuti di persone appartenenti ad una comunità che racconta se stessa in forma liberatoria, narrando la propria storia e le proprie attività in relazione ai rapporti sociali in essa contenuti. Ma quante Spoon River ognuno di noi potrebbe raccontare? Soprattutto per chi ha vissuto per un lungo periodo in una piccola città di periferia avendo conosciuto, magari non direttamente, molte persone che lì vi hanno trascorso la loro vita e sono morte. Oppure apprendendo il trascorso di vita di molti defunti attraverso la memoria di parenti o amici che sono stati testimoni diretti o indiretti delle loro vicissitudini. Ciascuno di noi, per chi ha memoria della propria identità come membro del proprio gruppo sociale, può ricordare volti, nomi, storie di chi è defunto e sepolto nel cimitero del proprio paese. Ti sovviene a volte, percorrendo i viali del camposanto, di ritrovare persone di cui avevi perso ogni traccia, ma non il loro ricordo. Rivedi improvvisamente volti e nomi che hanno rappresentato parte del tuo vissuto. Un senso di oppressione pervade la mente sapendo che ora queste persone non sono più tra noi. Un vuoto senso di impotenza ti stringe come un nodo alla gola, non riuscendo a capire perché ciò avvenga e ti rammarichi di non aver avuto occasione di parlare più spesso con loro e di non poter più sentire le loro storie, udire la loro voce, ascoltare i loro desideri, rincuorare le loro delusioni. Spesso il ricordo inganna la realtà dei fatti trasformando episodi ritenuti trascurabili nel momento in cui accaddero in epici momenti indimenticabili. Cose  che quando accaddero all'epoca delle loro manifestazioni furono sgradevoli, si rivivono oggi come dolci ricordi. Sembra che il tempo, esorcizzando il lutto della scomparsa, provochi un effetto distorsivo sulla visione del ricordo degli episodi accaduti nel passato. La mente rimuove gli effetti negativi degli accadimenti di vita vissuta e lascia  trasparire solo un piacevole ricordo che rasserena l'anima e pacifica lo spirito. 
La metafora perfetta della distorsione visiva del tempo che passa é rimata, tra le righe dell'Antologia, dalla poesia di "Dippold l'ottico":

Che cosa vedi adesso? 
Globi di rosso giallo e viola.
Un momento! E adesso?
Mio padre mia madre e le mie sorelle.
Sì!  E adesso?
Cavalieri in armi, donne bellissime, volti gentili.
Prova questa.
Un campo di grano - una città.
Molto bene! E adesso?
Un giovane donna con degli angeli chini su di lei.
Una lente più spessa. E ora?
Molte donne con gli occhi luminosi e le labbra aperte.
Prova questa.
Solo una coppa su un tavolo.
Oh, capisco! Prova questa lente.
Solo un spazio aperto - non vedo niente di particolare.
Bene, adesso?
Pini, un lago, un cielo d'estate.
Così va meglio. E adesso?
Un libro.
Leggine una pagina.
Non posso. I miei occhi sono trascinati oltre la pagina.
Prova questa lente.
Profondità d'aria.
Ottimo! E adesso?
Luce, solo luce, che trasforma tutto il mondo in giocattolo.
Molto bene, faremo gli occhiali così.

(da "Antologia di Spoon River" di E.L. Masters - New York -1915).

lunedì 25 novembre 2013

∞ = Sconosciuto



Ci sono esperienze straordinarie che durano pochissimo tempo rispetto alla lunghezza media di una vita, ma quei momenti si imprimono indelebilmente nella mente di chi li ha trascorsi. Ne racconto uno come esperienza personale in un luogo che di solito non si ricorda con molta nostalgia se non, forse, solo per i compagni che assieme ad ognuno di noi in esso hanno vissuto e studiato: la scuola.
Per non rassegnarmi ai molti anni trascorsi da quell'episodio, tralascio l'anno ed il luogo in cui i fatti qui raccontati sono accaduti e li riporto, in forma romanzesca, usando il tempo presente e citando dei nomi di fantasia, tanto per restare in regola con la privacy.
Frequento la seconda classe di media superiore in un istituto tecnico commerciale. Età 16 anni. Il mio banco si trova in posizione centrale al penultimo posto e lo condivido con Ciano P. che a sua volta, bontà mia, lo condivide con me. Bontà mia lo cito per il fatto che il buon Ciano, oltre ai libri scolastici, si porta ogni giorno appresso una serie di altri documenti cartacei di informazione propagandista e di formazione ideologica: è un militante di Lotta Continua. Nel suo affollato seguito documentale non manca mai il libretto rosso di MaoTseTung, il Capitale di Marx in formato tascabile, trattati di Hegel, dichiarazioni di Marcuse, estratti di Habermas e, ovviamente, il giornale del suo movimento di lotta. Tutto questo materiale ha il buon gusto, vista l'abbondanza, di sparpagliarlo tra il suo ed il mio banco mescolando confusamente il materiale ideologico e propagandistico con quello scolastico. Ciano è di corporatura piccola e minuta. D'inverno indossa maglioni di due taglie più grandi a cui a volte abbina camicie che sembrano lenzuola. Il cappotto è per lui un sostantivo privo di significato: utilizza esclusivamente l'eskimo di ordinanza. Porta una zazzera bionda con ciuffo prospicente che gli copre spesso gli occhi, ma è segaligno, combattivo, ideologicamente inquadrato e maledettamente sicuro di sé: esattamente l'opposto di me. Ha un gran pregio rispetto ad altri compagni e compagne: si fa sempre gli affari suoi e non rompe le palle a nessuno tranne che non si cada in discorsi politici. Allora, apriti cielo! Diventa logorroico, provocatore  e anche indisponente.
E' iniziata da qualche minuto la lezione di matematica con il professore Di Casio. Introduce le equazioni di secondo grado e ne spiega il metodo di soluzione. La classe è sonnolenta e svogliata. Solo Sergio P., seduto in primo banco e genio della classe, pare l'unico interessato alla faccenda. Di Casio è un professore bonario di età ormai avanzata e si vocifera che il presente sia l'ultimo anno di insegnamento prima dell'agognata pensione. E' calvo ed una corona di sottili e cortissimi capelli grigi gli circondano a malapena le ampie tempie. Una striscia sottilissima di baffetti di color sale e pepe gli sporca il labbro superiore. Ad un certo punto il professor Di Casio si zittisce e cala un silenzio irreale. Ha colto che la classe tutto sta facendo, tranne che ascoltare la sua lezione. Quel silenzio blocca le faccende di chi è in altre cose affaccendato e risveglia chi ha la mente assopita e pisolante. Quando tutta la classe é finalmente sintonizzata sulla dura realtà scolastica, il professore  pronuncia un'affermazione tutt'altro che banale: "Vedete ragazzi, non avete voglia di ascoltare la lezione non solo perché avete difficoltà a comprendere la matematica, problema che io ho particolarmente a cuore e per cui mi sto dando dannatamente da fare perché voi siate in grado di superarlo, ma perché, cosa ancor più serie e grave, non capite nemmeno le proposizioni della lingua italiana". Pausa di silenzio glaciale. Non so perché, ma ho la sensazione che Ciano P., da come ha rizzato il collo e sporto leggermente la testa fuori dalla fila dei banchi che ci stanno davanti, abbia preso quell'acuta osservazione come una dichiarazione politicamente rilevante ed esce con un'affermazione ad alta voce che lascia allibita l'intera classe e dichiara: "Bella forza! Logico, la lingua italiana utilizza ventun lettere mentre le cifre in matematica sono solo dieci! Il confronto non regge, giusto?" Silenzio. Il suo sguardo fiero non smette di fissare quello di Di Casio il quale gli ordina: "P., vieni fuori che facciamo due chiacchiere".
Ciano, da buon materialista laico la cui unica trinità ammessa nella sua teologia politica era la troika Stalin, Lenin e MaoTseTung, alzandosi dal banco piega leggermente la testa abbassandola verso di me e tira sommessamente un porco sincopato e scandito in modo limpido. Con passi lenti si avvicina alla cattedra sfoggiando il suo maglione arancione che gli arriva alle ginocchia mentre i jeans, di taglia un po' corta, gli lasciano intravedere i calzini che si infilano negli scarponi anfibi. Ciano prende posizione sul lato destro della cattedra dove sta seduto il professore e volge le spalle alla lavagna. "Dunque dicevi?" - riprende Di Casio accompagnando la domanda allungando il braccio e stendendo la mano in segno di dare parola al povero Ciano. "Dicevo che dal punto di vista logico é più difficile comprendere una lingua come la nostra le cui parole sono composte da un alfabeto di ventun lettere rispetto alla matematica che utilizza solo dieci simboli formati dalle cifre dallo zero al nove. Non parliamo poi degli orientali come i Cinesi e i Giapponesi che di simboli ne utilizzano a migliaia. Tutto qui." Il professore Di Casio tira un sospiro e risponde: " Intanto, giusto per precisare ed utilizzare i termini in modo corretto, le cifre sono simboli utilizzati dall'aritmetica che è un ramo appartenente a quell'enorme albero che si chiama matematica la quale utilizza nel suo complesso un gran numero di altri simboli e segni. Poi, é vero che l'ortografia linguistica utilizza anche altri segni, ma non sono quelli che fanno la differenza." Pausa riflessiva. Ciano riprende: "Professore, il linguaggio è vastissimo. Quando lei ci spiega la matematica lo fa per il tramite del linguaggio parlato e scritto che ognuno utilizza normalmente per comunicare, altrimenti nessuno ci capirebbe un accidente né di matematica né di qualsiasi altra cosa." Di Casio stende il braccio sinistro e con il dito indice puntato verso Ciano P. declina perentorio: "Vai alla lavagna e scrivi quello che ora ti detterò. "Ciano si gira verso la lavagna e afferrato il gesso con le punta delle prime tre dita della mano sinistra (è un maledetto mancino come lui si definisce) attende la dettatura. "Dcfb" -  pronuncia il professore. Ciano gira la testa verso Di Casio, poi verso la classe e con fare perplesso oscilla leggermente la testa, inarca all'ingiù le labbra e senza proferire alcuna parola, come nel suo stile crudo e diretto,  fa trasparire il suo silenzioso pensiero:  'Che cazzo ha detto? ' Il professore scandisce chiaramente di nuovo: "Dcfb, ripeto letteralmente, d-c-f-b, chiaro?" Ciano scrive: "dcfb". "Bene - annuisce il professore - ora scrivi un simbolo successivo che secondo te potrebbe dare un significato alla frase". "Eh? E cosa ci devo mettere? Che cacchio ne so? Queste lettere non significano nulla!" Affiora un sorriso beffardo sulle labbra del professor Di Casio e i suoi sottili baffetti sembrano vibrare come piccole setole di una ruga in calore e sbotta: "Stai attento al linguaggio che usi. Se affermi che non, e sottolineo non, significano nulla, vuol dire che significano qualcosa, diverso da  nulla. Altrimenti devi affermare che hanno un significato nullo, cioè uguale a nulla. Tradotto in lingua matematica dovresti scrivere come ora ti detto." Ciano attese impaziente ed il professore detta: 'dcfb' = 'nulla'; secondo te va bene questa formula o c'è qualcosa che non quadra?" "Va benissimo" - afferma Ciano. Riprende il professor Di Casio: "Dal punto di vista qualitativo, cioè del significato linguistico, questo è un risultato apprezzabile, ma dal punto di vista quantitativo è corretto?" E Ciano: "Boh! Ma che ne so." Pausa. "Non hai capito cosa intendo, vero P.? Allora, immagina che il segno di uguale sia il fulcro di una bilancia e sul piatto di sinistra ci metti le lettere che stanno a sinistra del segno di uguale e su quello di destra le lettere che stanno alla sua destra, considerando che sono dello stesso materiale e delle stesse dimensioni.... Allora?" Conosco perfettamente ogni espressione del volto di Ciano e comincio a vedere che le sue labbra si stringono in uno stretto sorriso che fanno apparire due fossette oblunghe ai lati della bocca, indice di disagio e di insofferenza: "Peseranno di più le lettere che stanno sul piatto di destra perché sono di più rispetto a quelle del piatto di sinistra: 'nulla' é una parola composta da cinque lettere mentre 'dcfb' sono solo quattro lettere." Di Casio: "Allora, almeno dal punto di vista quantitativo, 'dcfb' e 'nulla' non sono uguali, giusto?" "Giustissimo" - replica Ciano. "Quindi il segno di uguale non va."  afferma Di Casio. "Non va",  gli fa eco Ciano. "Però c'è qualcosa che non torna..."  replica dubbioso il professore. "Scusa P., prima hai scritto dcfb = nulla. Ciò si intende, anche qualitativamente, che io posso invertire l'ordine dei membri dell'ugualgianza e il suo significato non cambia. Se pongo cioè: 'nulla' = 'dcfb', non ho mutato il valore semantico della prima uguaglianza, che ne pensi?" Ora appare un po' di rossore sulle gote di Ciano ed è sintomo, per lui rarissimo, che qualcuno lo sta prendendo per il culo: "Scusi professore, si spieghi meglio perché fino ad un momento fa lei era d'accordo che 'dcfb' sono lettere che abbinate non hanno significato. Quindi l'uguaglianza con 'nulla', dal punto di vista qualitativo, va bene. D'altronde è stato lei ad affermare che la corretta dicitura è affermare che 'sono prive di significato' e che ciò equivale appunto a 'nulla'.  Quindi è corretto dal punto di vista qualitativo, cioè del significato, porre 'dcfb' = 'nulla'. Non si rimangi ciò che ha detto, altrimenti io sbaglio, ma sbaglia anche lei. E un professore che si intorta...." Di Casio si mette una mano sulla bocca e fissa per un attimo la classe in silenzio, poi sbotta: "Ma scusa, distrattissimo P, l'hai detto e scritto tu o non l'hai detto e scritto tu che 'dcfb' = 'nulla' e 'nulla' = 'dcfb' sono uguaglianze che affermano la stessa cosa? Lo confermi?" Ciano resta spiazzato dal rimbrotto e deciso rimanda: "Lo confermo!" "Bene - riprende il professore - scrivi allora la seguente frase: lo studente P. capisce il significato della parola 'dcfb'." Pausa. "Sei d'accordo con questa affermazione?" "Ma se abbiamo appena detto che la parola è priva di significato, cioè  nulla, sta per caso giocando alle tre carte,  professore?" - puntualizza subito Ciano. Il sorriso di Di Casio è ora apertamente più beffardo che mai: "Appunto, vedi che lo sai il significato di 'dcfb'? L'hai appena affermato tu che è priva di significato, cioè 'nulla', perciò ha un significato ben chiaro e puoi utilizzare questa parola in sostituzione di 'nulla' proprio in forza dell'ugugaglianza dove hai posto qualitativamente  'dcfb' come sinonimo di  'nulla'. Ora potremo tutti affermare tranquillamente, dopo questo tuo chiarimento che ci ha illuminati, che voi oggi state capendo un bel dcfb delle equazioni di secondo grado che io sto tentando disperatamente di insegnarvi. Il fatto è che quello che sembra non è. Il problema che ci siamo posti sul significato di una parola apparentemente priva di significato nella lingua scritta e parlata è il risultato di una convenzione che abbiamo stabilito tra noi. Ma non è una soluzione linguistica, ma matematica. Si è creato un nuovo elemento appartenente ad un sistema, detto insieme, a cui abbiamo aggiunto arbitrariamente per convenzione un nuovo vocabolo a quelli che linguisticamente vengono definiti sinonimi della parola 'nulla', come ad esempio sono le parole 'niente', 'nessuno', 'privo','vuoto' (ma non in fisica) eccetera eccetera. Per dimostrarvi che la soluzione è matematica  potremmo sostituire le lettere con numeri reali interi e allora si che ci si diverte un sacco! La prima logica sostituzione numerica ora ve la scriverà P. alla lavagna, perché, come lui ha affermato, ha capito che 'dcfb' = 'nulla'. Scrivi dunque P. alla lavagna:  'dcfb = 'un numero' che tu ora correttamente riporterai " Colpo di scena di Ciano che, devo ammettere, è un bravo combattente che non ci sta a farsi mettere nell'angolo del ring sotto la stringente ed incalzante logica di Di Casio e afferma: "Guardi professore che lei è fuori strada. Il linguaggio ammette molte sfumature che lei sta abilmente usando, ma in questo modo lei sta proprio avvalorando la mia tesi e cioè che il linguaggio è molto più difficile da comprendere rispetto alla matematica perché esso può essere soggetto ad ambiguità e sottintesi che rendono a volte difficile, se non impossibile, capire il significato reale delle cose." Stiamo tutti assistendo ad un match inatteso e siamo curiosi di vedere come va a finire. Di Casio è troppo bravo, troppo forte e anche molto umile e modesto, ma Ciano è duro a morire e azzanna come un mastino. Di Casio si alza pigramente dalla seggiola. Scende, si avvicina a P. e lo invita sedersi in cattedra al suo posto. Ora riconosco il sorriso di Ciano, più rilassato e soddisfatto per la performance appena esibita. Sale trotterellando sul piedistallo e si siede paciosamente sulla seggiola del professore. "Ti ho fatto sedere in cattedra, caro P., perché hai fatto un'affermazione 'magistrale' sulla differenza tra convenzione linguistica e convenzione matematica, differenza vera, che porta però all'autentica falsità della tua convinzione. E' effettivamente vera l'affermazione che mentre la lingua parlata e scritta è spesso soggetta ad ambiguità, doppi sensi, ossimori, cioè descrivere situazioni con oggetti in antitesi tra loro e altre diaboliche formule che sono riassunte in una disciplina oratoria chiamata retorica mentre  la matematica, diversamente, esprime sempre e comunque significati univoci, senza contraddizioni ed escludendo situazioni diverse rispetto ad un risultato che sia vero o falso. Questo metodo, detto anche scientifico, porta a scoprire perché le cose sono effettivamente vere e riproducibili da quelle che sono invece false. Un buon avvocato può difendere un uomo accusato di omicidio in base al suo fornito corredo linguistico, oltre ovviamente che alla sua preparazione giuridica, ma se la polizia scientifica trova che le uniche impronte sulla pistola oggetto dell'omicidio (dove le prove balistiche confermano che quella, e solo quella pistola ha sparato il colpo mortale) corrispondono alle impronte del suo difeso, difficilmente il giudice assolverà l'imputato. Le prove scientifiche utilizzano modelli matematici che asseriscono o il vero o il falso, la retorica no. Dunque torniamo a noi ed al nostro insieme di elementi in cui abbiamo inserito la parola 'dcfb'. Mi sapresti dire tu P. a quale  numero logico corrisponde secondo te l'uguaglianza della parola 'dcfb' escludendo, perché l'abbiamo già visto, l'aspetto quantitativo ed introducendo invece un'altra forma di logica matematica insiemistica?" "No!" - sentenzia Ciano. Punto. "Allora hai gettato la spugna ed ammetti che la matematica ha aspetti più profondi ed universali rispetto alla lingua. Te ne dò un esempio molto semplice" Di Casio scrive alla lavagna: 'due più due uguale a....', poi si gira verso la classe e dice: "Se io portassi un cinese davanti a questa lavagna e gli facessi  vedere questa scritta che cosa mi direbbe?" " 'Na minchia... - sbotta Ciano che subito aggiunge - scusi professore ma mi porta proprio il cinese che utilizza gli ideogrammi...., suvvia!" " Ti perdono perché hai utilizzato un'imprecazione siciliana ed io sono siciliano e vorrei proprio conoscerlo il cinese siciliano. Comunque il senso della risposta è corretta. Non saprebbe cosa rispondere e quella frase gli apparirebbe come un sequela di segni senza senso. Ma se io ora cancello questa frase e scrivo: ' 2+2=......' cosa scriverebbe il cinese al posto dei puntini del risultato? Facile, no. Il linguaggio matematico è universale, la lingua scritta e parlata no. Il fatto è che la matematica è la lingua con cui è scritto l'intero libro della natura dell'universo. Per cui l'immensa vastità delle sue applicazioni è praticamente infinita. Attenzione! Anche l'infinito ha un suo simbolo in matematica ed è quell'otto disteso che appare in molte formule. Non esiste un infinito univoco. Ci sono tanti infiniti. Forse esiste un numero infinito di infiniti. Gli infiniti hanno poi particolarità uniche in matematica. Ad esempio nella teoria degli insiemi, studiata e introdotta  dal matematico tedesco Georg Cantor con cui egli sviluppò  il concetto dei numeri, gli insiemi di numeri infiniti sono delle stesse dimensioni anche se un insieme è contenuto nell'altro." Pausa prolungata di silenzio. "In che senso?" - sbotta Sergio B. il genio secchione della classe. La classe rumoreggia frenetica e se la ride perché finalmente anche il genio è in difficoltà ed il popolo inneggia sottobanco alla loquacità di Ciano, ma ciò gli porta male perché Di Casio è spietato e risponde: "Ora te lo spiega P. con il mio aiuto." Ciano congiunge le mani e le oscilla avanti ed indietro con un sorriso beffardo come a dire: 'Ma chi? Io dovrei spiegare una teoria matematica a quel dinosauro che divora numeri a tonnellate? Ma quando mai! Ma fatemi il piacere! Al massimo io contesto.' "Procediamo - inizia Di Casio - P. scendi dalla cattedra e ridammi il mio posto." Ciano scende con tono dimesso e con un sorriso un po' spento." Allora scrivi tutti i numeri naturali interi partendo dal numero 1 per poi fermarti prima di uscire con il gesso dal bordo della lavagna." Ciano rimane per un attimo smarrito, inarca un sopraccigli, allarga le narici e dice: "Devo scrivere 1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,11,12,13,14,15,16......ma fino a quando?" "Lunghezza a tuo piacere, poi fai seguire una serie di puntini per indicare che la serie continua." Ciano scrive alla lavagna fino al numero 16 e poi fa seguire una serie di puntini fino al bordo della lavagna. "Bene - sentenzia il professore - se tu potessi continuare, con che numero finiresti?" " E che ne so? - risponde tra il serio ed il faceto il buon Ciano - forse non finirei mai!" "Oddio - sentenzia Di Casio - ti auguro lunga vita, ma non penso possa essere eterna, convieni?" "Convengo professore, ma si da il caso che i numeri sono infiniti, per quanto ne so, o no?" "Sì, lo sono. Convengo. Ora, però, nella riga successiva devi riportare solo i numeri pari lasciando lo spazio vuoto dove ci sono i dispari."  Ciano scrive: '2,4,6,8,10,12,14,16.......' "Bene - afferma soddisfatto Di Casio - rispetto a quelli di prima quanti sono?" "La metà - afferma sicuro Ciano -, sono esattamente otto numeri rispetti ai sedici iniziali" Il professore fa una piccola pausa di silenzio e poi chiede a P.: "Puoi affermare quindi che la riga superiore ha sedici numeri e che la riga inferiore ha otto numeri che derivano dal primo insieme, quello più grande. In parole più semplici gli otto numeri della seconda riga sono contenuti nei sedici della prima, giusto?" "Giusto!" risponde perentorio Ciano. "Potresti quindi affermare che il sotto insieme dei numeri pari è inferiore a quello dell'insieme di numeri totali della riga superiore perché in esso già contenuti, giusto?" "Giusto!" conferma il buon Ciano."Giusto un accidente! - sbotta il professor Di Casio - guarda bene perché così non è." Ciano gira attorno alla lavagna e guarda dietro a mo' di farsa per vedere se dietro la lavagna c'è la soluzione dell'enigma. "Ma dove guardi, sciagurato! - sbotta il professore - devi guardare nelle righe che hai scritto e dedurre che così non è." Ciano si avvicina alle righe scritte sulla lavagna e stringe gli occhi per vedere la soluzione, ma non gli viene un accidente. "Ora scrivi - ordina seccamente Di Casio - sotto ad ogni numero pari,  iniziando  dal numero 2, la normale sequenza dei numeri naturali come nella prima riga. Otterai così sotto il numero 2, il numero 1, sotto il numero 4, il numero 2, sotto il numero 6 il numero 3, eccetera eccetera. Conterai, quindi, da uno ad uno, tutti i numeri pari finché saranno terminati tutti i numeri pari esistenti nell'universo! Quanti sono?" "Infiniti!" - risponde quasi urlando Ciano. "Bravo! Vedi,  hai dimostrato la teoria degli insiemi infiniti con il quale si dimostra che un insieme infinito contenuto in un altro insieme infinito è di uguale grandezza. I due insiemi si definiscono matematicamente equipotenti. Siamo d'accordo?" "Perfettamente!" sentenzia Ciano. Il professore ora volge lo sguardo verso Sergio B. e, quasi sommessamente, gli dice: "Hai visto? P. ti ha spiegato in maniera chiara ed esaustiva la teoria degli insiemi infiniti. Soddisfatto?" Sergio B. non proferisce alcuna parola perché qualsiasi risposta potrebbe essere usata contro di lui. "Deve essere chiaro a tutti che l'infinito rappresenta una sorta di limite per le soluzioni matematiche. Quando un matematico incontra questo simbolo deve ammettere che esiste un universo sconosciuto oltre o, forse, entro di esso e nulla potrà portare a soluzioni che siano completamente accettabili sotto il profilo della verità matematica.
"Ma mi dice ora che cavolo di numeri devo mettere dopo 'dcfb'? Quello proprio non l'ho capito!" - sbotta seccato Ciano P. "Bravo. Proprio bravo. - con fare sconsolato ribatte Di Casio - ma a cosa è servito allora tutto il discorso fatto finora?" Risponde Ciano: "Scusi, abbiamo parlato di numeri, ma le lettere cosa c'entrano?" "Scrivi in una riga tutto l'alfabeto della lingua italiana"  - Di Casio accompagna l'ordine perentorio indicando con il braccio sinistro e il suo indice tesi come un violino. "P. scrive velocemente in un'unica riga l'intero alfabeto ed il gesso, sotto le dita fortemente arcuate, ogni tanto stride in maniera orrenda. "Ora  - prosegue il professore - sotto ad ogni lettera partendo dalla 'A' scrivi la sequenza dei numeri partendo dal numero 1, come se dovessi contare tutte le lettere dell'alfabeto." "Ecco fatto - annuncia trionfante Ciano -  sono ventuno." "Ma va? - sbotta il professor Di Casio - non pensavo...." E la classe se la ride alla grande. "Veramente non pensavo neanch'io eppure, nonostante Cantor, è cosi!" -  ammicca  pericolosamente il buon Ciano P. che sembra un sorcetto arancione  che scherza con un grigio gattone di cento chili. "Senti Einstein - lo rintuzza il professore - dimmi quali numeri ci sono sotto le lettere 'd,c,f,b' e riscrivili a parte. Ciano estrapola e scrive: 4,3,6,2. "E  allora? Cos'hai da dire? Deduci, se ce la fai." Ciano scrive dopo le cifre il segno di uguale e ne viene fuori: '4362' = 'dcfb'. "Va' abbastanza bene. Ci sarebbe da aggiungere l'ambiguità dei numeri a doppia cifra assegnati a partire dalla lettera "L" che è la numero 10 della serie, ma questo sarà argomento per una prossima lezione. Inoltre la simbologia degli insiemi prevederebbe altri segni ma, visto che voi manco sapevate di cosa stavamo parlando, possiamo essere soddisfatti del risultato raggiunto."
Purtroppo, con mio grande rammarico, non ci fu nessun'altra "prossima lezione". 

Questa mitica e romanzata ora di matematica restò indelebilmente impressa per sempre nella mia mente. Degli insiemi non sapevamo praticamente nulla. Dopo quel giorno si aprirono nuovi orizzonti in merito alla portata universale dell'univoca lingua matematica.
By Eugenio Acran - a.s. 1971/1972


P.S.:  La prima presenza di tematiche sugli ‘Insiemi’ si trova nei programmi per la scuola media del 1963, poi rivisti nel 1979. Nella scuola secondaria a partire dal 1985 si diffondono le sperimentazioni su larga scala. In particolare dei programmi PNI (Piano Nazionale dell’Informatica). (Tratto da http://www.treccani.it/scuola/lezioni/in_aula/matematica/insiemi/ciarrapico.html)

mercoledì 13 novembre 2013

Inganni Spaziali

  Disegno di Maurits Cornelis Escher

Gaia Femmina


Dipinto di Sara Landau











LE TUE LABBRA DISCHIUDONO
CON  GARRUL0  SUONO
UN LUDICO CANTO
DELL’INNO ALLA VITA 
ED  IL  SENO  SINUOSO
DIFFONDE  NELL’ANIMA
SENSIBILI  IMMAGINI
DI  VOCI  PERDUTE
UN  SORRISO  D’INCANTO
RAPISCE  L’IGNOTO
E DONA  LA  GRAZIA
CHE ARRECA  LETIZIA


lunedì 11 novembre 2013

Dura Lex, Sed Lex


Nel trattatarello "De Amicizia" (Laelius) Cicerone racconta di un ipotetico dialogo tra Gaio Lelio e i suoi due generi ed ha come argomento la profonda amicizia che lo legava a Scipione Emiliano, il distruttore di Cartagine nel 146 a.c.. Cicerone dedica il dialogo al suo intimo e fidato amico Tito Pomponio Attico. Egli discerne sul valore dell'amicizia intesa come rapporto all'interno della società romana della sua epoca (44/43 a.c.), contrapponendo l'idea di amicizia intesa come legame utilitaristico propugnato dalla filosofia epicurea al significato di amicizia inteso nella sua società contemporanea. Il travisamento attuato nei confronti del significato del sentimento di amicizia nella filosofia epicurea secondo la quale, a dire di Cicerone, l'unico interesse che lega le persone è di tipo utilitaristico e non etico-morale, nasconde in realtà una visione della società romana nella cui interpretazione Cicerone afferma il dovere di impegnarsi politicamente e di attuare una rete di relazioni di amicizia nelle quale si deve trovare, oltre ad un reciproco interesse di protezione e di mutua assistenza, anche il "piacere" di prodigarsi per il bene delle persone che hanno stretto questo legame. Rimane chiaro l'intento di criticare l'amicizia in senso epicureo in quanto essa prevede il completo distacco  e il totale disinteresse per la vita politica, in cui egli era molto impegnato, e l'inerzia totale delle divinità nelle umane azioni. La distorsione, messa in atto con evidente scopo politico, addita negli avversari politici, Giulio Cesare in testa come noto seguace di Epicuro, di cercare legami di amicizia unicamente a scopo di tornaconto personale, abbandonando chiunque al suo destino nel momento in cui tale tornaconto viene a mancare. Tutto questo, traslato nella nostra epoca moderna, sembrebbe di poca rilevanza se non addirittura privo di senso in quanto l'amicizia naturale, cioè senza alcun tornaconto personale, viene chiaramente distinta dal rapporto di conoscenza che sottende ad un chiaro scopo utilitaristico. Penso, ad esempio, ai dirigenti e ai militanti di uno stesso partito politico nel quale i rapporti di amicizia sono davvero rari e l'unico legame all'interno dell'istituzione partito è, o meglio dovrebbe essere, il raggiungimento di uno stesso obiettivo all'interno della società di appartenenza che condivide scelte di carattere economico, sociale, culturale ed educativo. Anche all'interno di luoghi in cui le persone si trovano a dover condividere e collaborare, loro malgrado, in uno spazio e con scopi ben precisi loro assegnati, come i legami dettati dal rapporto di lavoro, la vera e profonda amicizia è molto rara. Detto questo, si deve però porre l'accento su cosa sia veramente una "vera amicizia" ma, soprattutto, quali sono i comportamenti ed i limiti che dovrebbero essere posti a tale sentimento umano.

Per esempio, commettere una cosa ingiusta per aiutare un vero amico in un suo momento di difficoltà è lecito oppure no? In sintesi, l'amicizia vera e profonda che condivide anche ideali etici e morali, oltre che momenti di svago e piacere, deve ritenersi prioritaria rispetto a situazioni nelle quali tu dovresti comportarti male o, peggio, contro la legge per la sua difesa? Si può anteporre l'amicizia ai diritti-doveri di cittadino e della società in generale? Belle domande a cui si possono porre molti "distinguo" per i vari contesti in cui gli amici in oggetto si vengono a trovare. Nella nostra società moderna e secolarizzata purtroppo si assiste non solo a reati contro la legge al solo scopo di difendere un'amicizia (forse capibile ma non giustificabile), ma per difendere interessi comuni di varie corporazioni o ambienti economici attigui alle proprie attività e che coinvolgono familiari o amici. 
Morale? Rileggiamoci il dialogo platonico "Critone". Socrate è in galera condannato a morte e mancano pochi giorni perché la sentenza venga eseguita. L'intimo e fedelissimo amico Critone  espone a Socrate il suo piano di fuga: corrompere le guardie e scappare aiutato dagli amici in un altro paese in esilio volontario. Critone afferma che è una cosa giusta perché la condanna di  Socrate è ingiusta e la maggior parte dei cittadini approverebbe tale fuga e, forse, anche una parte dell'autorità ateniese. Risposta di Socrate: non se ne parla nemmeno di fuggire. Io, dice Socrate, ho passato la mia vita intera alla ricerca di un comportamento che sia rispettoso della società in cui vivo ed in cui io sono parte attiva e nella quale la legge rappresenta, giustamente o ingiustamente, un codice di comportamento che deve essere uguale per tutti. Il compito di ogni cittadino è di individuare le leggi ingiuste o inique e fare di tutto per cambiarle, ma mai in ogni caso di trasgredirle. Fuggire, denuncia Socrate, per compiacere all'amicizia sarebbe come rinnegare il codice di comportamento della società a cui appartengo e quindi di rinnegare anche la mia stessa vita e sarebbe più ingiusto della stessa ingiusta legge che mi condanna: Dura Lex, Sed Lex.